Lunedì il primo ministro italiano ha annunciato il “Piano Mattei” con cui l’Italia dovrebbe diventare l’hub europeo del gas. Il nome del piano rievoca passati gloriosi e sollecita le ambizioni di un Paese, l’Italia, che è posizionato al centro del Mediterraneo tra l’Africa e l’Europa. Alla fine di dicembre un altro Paese, la Turchia, si è candidato a diventare un hub energetico e in particolare l’hub energetico dell’Europa.



Il discorso con cui Erdogan ha annunciato il piano a metà dicembre è arrivato in occasione dell’inaugurazione dell’espansione del sito di stoccaggio di Silivri che con i suoi 4,6 miliardi di metri cubi è il più grande d’Europa ed è in grado di soddisfare il 25% della domanda invernale di gas turca. La Turchia sta sviluppando un altro sito di stoccaggio, Tuz Golu, per una capacità addizionale di 5,4 miliardi di metri cubi di gas. Nel giro di due anni la Turchia ha raggiunto il 60% della capacità di stoccaggio dell’Italia che invece è ferma al palo.



La Turchia, nonostante l’appartenenza alla Nato, ha mantenuto i rapporti con la Russia che è il maggiore esportatore di gas al mondo, è di casa in Libia avendo approfittato degli “errori” italiani e della guerra del 2011 e intrattiene rapporti normali con tutti i principali Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, incluso l’Egitto, che dopo la scoperta di Zohr ha assunto un ruolo regionale in campo energetico. Il Paese anatolico difende i propri interessi anche a costo di un incidente diplomatico con un alleato Nato. Pensiamo al caso della Saipem 12000 cacciata dalla coste di Cipro nel 2018 sotto la minaccia di navi da guerra turche.



Torniamo al discorso di dicembre di Erdogan. Il Paese ha in essere un massiccio piano di investimenti in energia nucleare che è un altro pezzo del piano turco per diventare l’hub energetico di riferimento dell’area e dell’Europa. Con il Turkish Stream, che ha rimpiazzato il South Stream cancellato dalle sanzioni americane, la Turchia rifornisce la Bulgaria, la Macedonia del Nord, la Grecia, la Romania, la Bosnia, la Serbia e l’Ungheria. Sotto il Turkish Stream, a terra in territorio turco, passa il Tanap che porta il gas dall’Azerbaijan all’Europa.

In Italia languono i progetti di espansione di capacità di stoccaggio, la produzione nazionale è ferma ai minimi degli ultimi decenni bloccata da leggi e tasse e non c’è neanche l’ombra di piani “Mattei” per rilanciarla se non in modo del tutto marginale. Di nucleare non si parla e, anzi, se non fosse stato per un inverno straordinariamente mite oggi probabilmente parleremmo di razionamenti dell’elettricità oltre quelli già avvenuti spontaneamente per i rincari dei prezzi. L’Italia sarebbe quell’hub energetico europeo che non riesce nemmeno a garantire riscaldamento ed elettricità a prezzi accessibili ai propri cittadini e alle proprie imprese.

Passiamo alle “relazioni internazionali”. I rapporti con la Russia, giusto o sbagliato che sia, sono irrimediabilmente rovinati, quelli con l’Egitto sono appesi alla vicenda Regeni, tanto impattante quanto inspiegabile, in Libia l’Italia ha perso la partita tra tradimenti, errori di valutazione macroscopici e mancanza di qualsiasi determinazione. Per non farci mancare nulla siamo membri convinti di un’organizzazione, l’Unione Europea, che unica al mondo annuncia obiettivi di decarbonizzazione rivoluzionari e li persegue anche a costo di rovinare la vita e i risparmi dei propri cittadini. Questo mentre il resto del mondo non può o non vuole fare la “rivoluzione green”. Per il nucleare aspettiamo religiosamente la fusione; disponibile con comodo tra una o due generazioni.

Con tutto il male che si può dire contro la deriva autoritaria della Turchia sembra che un Paese stia lavorando alacremente, ritagliandosi uno spazio notevole di indipendenza politica e l’altro un po’ meno. Infine, c’è un ultimo dettaglio. Supponiamo che l’Italia decida davvero di fare sul serio tornando a fare politica industriale, energetica ed estera nel Mediterraneo liberandosi di condizionamenti di ogni ordine e grado e di ideologie millenaristiche su green e dintorni. In questo caso non avrebbe la strada spianata ma occupata scientificamente da un concorrente determinato: la Turchia. Un Paese scomodo oggi dentro la Nato, dove ha il secondo esercito, e chissà quanto domani se mai ne uscirà.

Forse non è il caso di evocare piani “Mattei” per aggiungere oltre ai danni anche la beffa o le beffe di chi ci ascolta.

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