Caro direttore,
fin da sabato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fatto risuonare forte un appello all'”unità nazionale” di fronte a un’emergenza forse senza precedenti nella storia dell’Italia repubblicana. La sua voce è stata molto diversa da quella debole e incerta del premier Giuseppe Conte, che a quattro giorni dall’escalation del coronavirus se ne sta barricato a Palazzo Chigi, probabilmente impegnato ad abbozzare tweet con il suo portavoce.



Non ha neppure fatto finta di annunciare, Conte, una visita nelle zone rosse del Basso Lodigiano o del Basso Padovano: in difficoltà come dopo un terremoto. Ha invece lanciato una fatwa contro la sanità lombarda, invocando “pieni poteri” per ridimensionare l’autonomia costituzionale delle Regioni (può darsi che ad esempio voglia imporre a livello nazionale i protocolli sanitari della Regione Calabria). Da un primo ministro eletto ci si deve evidentemente aspettare di tutto: anche odio razziale, perché tale è la mancata solidarietà verso gli italiani assediati dal coronavirus in Lombardia e Veneto. Nell’entourage di Palazzo Chigi possono anche prendere forma abbagli troppo ridicoli per essere qualificati come tentazioni golpiste. È d’altronde lecito pensare che lo sbarco dei migranti africani della Ocean Viking in Sicilia abbia avuto per Conte priorità d’agenda nella domenica di visita di Papa Francesco in Puglia.



Certo, non sorprende che aree del Paese che assegnano un voto maggioritario alla Lega riscuotano solo malcelata ostilità da parte di un “governo del Sud”, non troppo diverso da quello “fantoccio” insediato a Salerno nel 1944. Meglio, evidentemente per il suo premier starsene fra i palazzi romani a inseguire il miraggio opportunistico di un Conte 3 “di unità nazionale”. Meglio accusare il leader della Lega, Matteo Salvini, di non rispondere al telefono dopo averlo insultato sei mesi fa davanti al Senato della Repubblica.

Dov’è, comunque, il ministro della Salute, il potentino Raffaele Speranza (Pd)? È d’accordo con presidente della Basilicata, il generale Vito Bardi (Fi) che sta stendendo filo spinato contro i barbari appestati del Nord? Nelle stesse zone un paio di secoli fa i nobili prendevano a fucilate dai loro castelli le plebi colerose. Allora, certo, la democrazia e la dignità istituzionale non erano ancora entrati nella civiltà nazionale.



Dov’è il ministro degli Esteri, il campano Luigi Di Maio (M5s)? Ha tentato almeno una telefonata al premier delle Mauritius che ha fatto scendere da un volo Alitalia i passeggeri romani e non quelli provenienti da Veneto e Lombardia? Eppure la “capitana Carola” non ha avuto alcun timore di speronare una nave militare italiana pur di far sbarcare in Italia i suoi migranti africani. E a darle man forte sulla tolda della Sea Watch 3 era giunta all’epoca perfino una folta delegazione di parlamentari del Pd.

Dov’è il ministro del Welfare, la campana Nunzia Catalfo (M5s)? Le vittime occupazionali del contraccolpo recessivo da coronavirus saranno infinitamente più numerose di quelle del contagio. Oppure Catalfo è tacitamente solidale con gli albergatori di Ischia che hanno subito tentato di sbarrare le porte ai turisti del Nord improvvisamente divenuti odiosi? Come se i turisti americani se ne potessero sentire rassicurati. Dopo 24 d’ore d’apertura di “Coronavirus outbreaks in Italy” sul sito del New York Times ne verranno comunque molti di meno. I milanesi e i padovani (sani) potrebbero tornare preziosi a tamponare qualche voragine nelle prenotazioni estive.

Dov’è il ministro (pugliese) degli Affari Regionali Francesco Boccia? Sembra capace solo di telefonare alla Stampa per dare a Salvini dell'”untore”. Sta almeno provando a fermare il suo collega di partito alla guida della Regione Puglia, Michele Emiliano, dall’imporre quarantene ai lombardo-veneti? Eppure la maggioranza giallorossa di cui fa parte due settimane fa le ha respinte come razziste quando le hanno chieste i governatori (leghisti) di Lombardia e Veneto per i cinesi di rientro dalla Cina.

Ha fatto bene il costituzionalista Sabino Cassese – di origini irpine – a rinnovare con accenti fermi l’appello di un Presidente della Repubblica di origini siciliane, che non dimentica mai di essere il primus inter pares fra tutti gli italiani. I primi a mostrare di non tenere in nessun conto il valore all’italianità sembrano essere – in queste ore – proprio gli italiani del Sud. A cominciare dal premier.

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