Commentando le improvvise dimissioni della tedesca Sabine Lautenschlaeger dall’esecutivo Bce, il Financial Times non ha mancato di notare che al momento l’intera governance dell’Eurotower – esecutivo e consiglio generale – rimane priva di “quote rosa”. In realtà fra poco più di un mese la Bce diventerà per la prima volta molto rosa: nel volto, nella voce, soprattutto nella leadership con l’arrivo della francese Christine Lagarde come successore di Mario Draghi.



Sarà certamente interessante vedere se il governo tedesco sceglierà di nuovo una “banchiera” per l’istituto dell’euro che ha sede a Francoforte (si fanno già in effetti tre nomi femminili: Klaudia Buch, attuale vice di Jens Weidmann alla Bundesbank; Elke Konig, presidente del Single Resolution Board bancario; e l’economista Isabel Schnabel).



Ma non è certo la maggiore o minore componente rosa della futura piramide di governo della Bce ad alimentare la preoccupazione di banche e mercati dell’eurozona.
L’attenzione è certamente puntata – nell’immediato – sulla praticabilità del nuovo “quantitative easing” faticosamente prospettato da Draghi dopo il suo ultimo consiglio a Francoforte. Dove tuttavia la scelta di caricare nuovamente il “bazooka” monetario per stimolare la ripresa ha riscontrato l’ormai consueto no tedesco (della Lautenschlaeger in esecutivo e di Weidmann in consiglio). Ma stavolta nel “consiglione” si sono registrate le opposizioni di Olanda e Austria (tradizionali satelliti della Germania), ma anche del governatore francese François Villeroy-de-Galhau. Ma c’è dell’altro dietro la mossa “choc” di Lautenschlaeger.



Anzitutto: non è la prima volta che il rappresentante tedesco nell’esecutivo Bce si dimette in anticipo, con inequivocabile gesto polemico verso le scelte del presidente e della maggioranza degli organi di vertice.

Otto anni fa Jurgen Stark lasciò con un anno d’anticipo sulla scadenza del suo mandato. Lo fece per manifestare la contrarietà tedesca alla decisione dell’estate 2011 riguardo gli acquisti da parte di Francoforte di titoli di debito pubblico dei Paesi dell’area euro (in particolare dell’Italia sotto attacco spread). Fu un orientamento assunto dal francese Jean Claude Trichet in procinto di passare il testimone a Draghi. Fu la Buba a insistere per un gesto di aperta “sfiducia” verso la conduzione della politica monetaria in Europa: con una dose di stizza rivolta verso lo stesso governo Merkel, che aveva dato alla fine via libera a Draghi (un europeo del Sud gradito a mercati anglosassoni) frenando le aspirazioni di Axel Weber, capo della banca centrale tedesca.

Dopo otto anni di “opposizione strutturale” della Germania alla Bce di Draghi, il copione si ripete: alla vigilia di una nuova staffetta italo-francese, ma soprattutto dopo un’altra estate agitata per l’Europa e soprattutto per la Germania. A Berlino, paradossalmente, molti non hanno apprezzato la designazione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue (su cui la Merkel si è dovuta astenere): non da ultimo perché ha nuovamente sbarrato la strada a un tedesco – con tutta evidenza lo stesso Weidmann – all’Eurotower; dove invece è nuovamente approdata una francese. E Lagarde, soprattutto ha un cursus che non comprende esperienze specifiche di central banking ed è invece imperniata su un decisivo passaggio politico come ministro delle Finanze a Parigi.

E mentre la Germania soffre ogni giorno di più lo stanco tramonto della Merkel, i rapporti con la Francia – sull’asse carolingio dell’Unione europea – sono in crisi: proprio sulla riforma della governance dell’Eurozona. Il presidente Macron (che ha rivendicato come “francofona” la nomina della von der Leyen) vuole accelerare sulla costruzione di una “politica fiscale comune”, che per la Germania è ancora tabù.

Per Lagarde – in arrivo dal Fondo monetario internazionale – il debutto si annuncia comunque duro. E dovrà probabilmente contare sul nuovo membro italiano nell’esecutivo: Fabio Panetta, da pochi mesi direttore generale della Banca d’Italia.