Caro direttore,
ieri mattina il titolone di prima pagina di Repubblica era: “Il virus piomba sul governo NoVax”. Nelle stesse ore, il titolo d’apertura sulla homepage del Financial Times (principale medium dei mercati finanziari globali) era “La Ue discute sulle decisioni della Cina sul Covid, l’Italia sollecita una risposta comune” (nel pomeriggio lo stesso titolo alto è diventato: “La Ue respinge la richiesta italiana di imporre restrizioni Covid sugli arrivi dalla Cina”). Intanto il Washington Post (il quotidiano della capitale Usa) segnalava: “l’Italia segue gli Stati Uniti nell’effettuare test Covid obbligatori dopo un aumento dei passeggeri sbarcati infetti dalla Cina”. Idem il New York Times, già nella serata di mercoledì.



La distanza “copernicana” fra le prospettive è lampante. E sembra meritare qualche riflessione, al di là della registrazione di un caso di forte pluralismo mediatico (in sé mai deprecabile).

Visto dall’Italia, l’ennesimo rigurgito del virus accuserebbe “a prescindere” un governo guidato oggi da un partito mai favorevole alle campagne di vaccinazione. Al succo: il ritorno del rischio-Covid in Italia sarebbe da ascrivere “tout court” alla non completa copertura vaccinale della popolazione, causata dalle opinioni della premier in carica e del suo elettorato, peraltro vincente nelle urne. La decisione di alzare i muri dei test a contrasto del nuovo boom cinese – decisione assunta in corsa e in via unilaterale rispetto alle Ue – confermerebbe dunque la “colpevolezza” della Giorgia Meloni premier, in flagrante contraddizione con la Meloni leader dell’opposizione. Questa sarebbe la notizia.



Vista dalla City di Londra o dai dintorni della Casa Bianca e di Wall Street, invece, l’Italia è in the news per la reattività del suo governo. È invece la Ue che tarda, che non riesce mai a decidere, persa come sempre in “discussioni” inconcludenti. E lo affermano media a lungo oracoli della unfitness di Silvio Berlusconi e di tutte le forze politiche italiane di centrodestra; e della costante necessità di tecnocrati come Mario Monti o Mario Draghi per impedire una deriva inesorabile di un’Italia “ingovernabile” lontano “dall’Europa e dai mercati”. Ora invece sembra essere Roma a indicare a Parigi, Berlino e Bruxelles “ciò che deve essere fatto”, secondo uno dei nuovi Meloni-mantra.



Nella to-do-list globale, d’altronde, il contrasto al Covid non è più un obiettivo principale; anche al netto del pericoloso boomerang della pandemia in Cina. Nell’Agenda occidentale la priorità strategica è divenuta il contenimento “tout court” del Dragone. E – a differenza di quanto è avvenuto nella fase iniziale dell’emergenza Covid – gli Usa di Joe Biden non sembrano più disposti a scontare a Pechino neppure un centesimo di polemica geopolitica. Anzi, ciò che nessuna “indagine internazionale” è riuscita finora a provare (l’origine colposa o addirittura dolosa della pandemia a Wuhan) tende ora a diventare evidenza indiscutibile. La responsabilità della disruption globale portata dal Covid (fino alla guerra russo-ucraina e all’inflazione energetica…) nella nuova narrazione politico-mediatica  è ora  interamente e unicamente di Pechino. E la Cina che sta “ricontagiando” il pianeta dopo averlo fatto già una volta è la stessa che minaccia Taiwan e continua ad appoggiare tacitamente la Russia.

Giorgia Meloni – “giusto o sbagliato” – ha voluto replicare su questo fronte la netta scelta di campo occidentale assunta sulla crisi ucraina – e quindi sulla Cina – prima e dopo il voto del 25 settembre e quindi al G20 di Bali, in totale continuità con l’esecutivo Draghi. Sono semmai Emmanuel Macron e Olaf Scholz – e quindi la Commissione Ue a trazione tedesca – a mostrarsi titubanti sull’opportunità di erigere barriere europee contro l’import di nuove varianti Covid. Ma sono gli stessi Paesi Ue che continuano ad avere posizioni alterne o ambigue sia sulla guerra in Ucraina sia nell’atteggiamento “geoeconomico” verso la Cina (e non da ultimo sui flussi migratori da Africa e Asia). Più animato da eterne aspirazioni di grandeur francese l’Eliseo; più premuto dall’Azienda-Germania il cancelliere tedesco. Entrambi, comunque, non più così lontani dal crinale fatale a Berlusconi nel 2011: quando il disinvolto amico occidentale di Vladimir Putin e del colonnello Gheddafi si ritrovò infine target collaterale dei bombardamenti Nato. La stessa Nato che oggi dirige le operazioni in Europa (sul fronte russo) e sempre più anche in Asia (su quello cinese o su quello iraniano).

Tornando a Roma, nel riflesso anti-cinese del governo sembrano scorgersi altri obiettivi politici sensibili. Il più importante appare la robusta lobby filocinese consolidatasi fra politica e grandi affari, dapprima nella sinistra di governo (da Romano Prodi a Massimo D’Alema) e infine nel “grillismo di governo” (da Giuseppe Conte a Luigi Maio). Ma, alla vigilia delle elezioni amministrative in Lombardia, è ancora fresca la memoria di quanto accadde – fra Milano, Bergamo e Roma – nel febbraio 2020: quando il presidente (ora ricandidato) della Regione Attilio Fontana fu tacciato di razzismo perché sollecitava gli stessi controlli ora decisi dal governo. Ma il premier Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza tennero le difese abbassate per settimane: prestando orecchio alle campagne anti-allarmiste di due sindaci “amici” come Beppe Sala a Milano e Giorgio Gori a Bergamo. Per loro il rischio-Covid era altamente esagerato: esattamente come sosteneva l’omertà di Pechino. Ma da allora il virus che oggi “colpirebbe il governo NoVax” ha fatto in Lombardia 45mila morti.

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