Caro Direttore, 

ieri Repubblica ha relegato nello spazio interno delle lettere una presa di posizione della senatrice a vita Liliana Segre: per mesi eroina da prima pagina nella campagna “resistenziale” del quotidiano contro la Lega di Matteo Salvini. Stavolta, però, il Segre-pensiero è risultato molto spinoso e poco mediatico: ha anzi sfiorato i limiti del politicamente scorretto quando è andato a rettificare una proposta della stessa senatrice (risalente a tre anni fa) riguardo la possibile cancellazione della parola “razza” dall’articolo 3 della Costituzione.



Questo afferma – come sta tornando a insegnare l’educazione civica nelle scuole -il fondamentale principio di eguaglianza fra tutti i cittadini della Repubblica, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, d religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.    

Nella lettera a Repubblica, Segre riconosce che proprio la parola “razza”, come “cifra dei crimini peggiori del ‘900, possa ancora svolgere una funzione di monito contro ogni ideologia razzista, discriminatoria violenta”.  In termini giuridici – peraltro elementari – una senatrice a vita della Repubblica avrebbe potuto confermare la consapevolezza che l’intera Costituzione democratica è nata con il fine esclusivo per promuovere e tutelare i diritti dei singoli in una comunità nazionale integrata e inclusiva: non per comprimere le libertà e dividere gli italiani. Ogni ipotesi di “cancellazione” nella Costituzione vigente porta quindi inesorabilmente a depotenziare le più alte conquiste civili dello Stato unitario. Ed è qui che la letterina ferragostana della senatrice sembra assumere un valore niente affatto banale sullo sfondo delle violente guerre culturali correnti in tutto l’Occidente. Senza tuttavia dimenticare un fresco fatto di cronaca che ha interessato direttamente il quotidiano diretto da Maurizio Molinari: che ha dovuto spendere un editoriale per censurare come disguido la diffusione in redazione di una circolare che conteneva la parola “razza”, peraltro con tenore e finalità “giornalisticamente corretti”. 



L’iconoclastia dilagante della “cancel culture” nelle università e nei media euramericani è da tempo più violenta di quella portata dai talebani in Afghanistan negli ultimi giorni: peraltro in seguito a una decisione “politicamente corretta” da parte di un presidente Usa “democrat”. Ora è evidente che – dal punto di vista esasperato del “politically correct 4.0” – l’articolo 3 della Costituzione italiana è discriminatorio,  per il fatto stesso di nominare il “sesso” (meglio “gender?”), la “razza” o la “religione”: queste ultime ormai appaiate come “mali assoluti”, come primi nemici da abbattere da parte della “cancel culture”.  Ed estirpare le parole dal lessico politico-sociale è certamente la prima tentazione invitante, per quanto ambigua: salvo poi verificare, ad esempio, che la parola “talebani” – che sembrava “cancellata” – corrisponde tutt’oggi  come vent’anni fa a odio etnico a sfondo religioso contro la civiltà occidentale “politically correct”. Quella che combatte dall’interno l’America che ha combattuto i talebani dopo l’11 settembre.  Quella ripiegata nelle sue “guerre culturali” mentre una guerra drammaticamente reale  uccide oggi afghani in fuga dai talebani a Kabul in modo non diverso da come nel 2001 ha ucciso cittadini americani in fuga da grattacieli incendiati a New York dai terroristi di al Qaeda.



Neppure la senatrice Segre è potuta sfuggire, infine, alla verifica con la realtà delle contraddizioni e dei paradossi profondi e in fondo tragici del “politically correct”.  Rimuovere in nome della “cancel culture” la parola “razza” (o “religione”) da una costituzione democratica come quella italiana, può avere come conseguenza ultima e brutale la cancellazione della memoria della Shoa, la cui testimonianza è alla radice del laticlavio concesso a Liliana Segre dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (il quale ha giurato di custodire la Costituzione). Cancellare a forza etnie e religioni dal lessico politico-culturale può condurre, fra l’altro, a negare le ragioni della travagliata esistenza dello Stato di Israele: che è fondamentalmente lo “Stato ebraico”.

L’articolo 3 della Carta italiana potrebbe, a prima vista, tagliar corto:  “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Ma probabilmente indebolirebbe una battaglia-bandiera del politically correct italiano come il disegno di legge contro l’omotransfobia. Cominciare ad obliterare con sbarrette nere righe o paragrafi della Costituzione a fini di polemiche politiche strumentali avrebbe comunque l’effetto probabile di rimettere in discussione l’intero testo di 139 articoli, anzi: di suggerire il dubbio che una democrazia costituzionale sia nel suo complesso “discriminatoria”. Che debba essere dunque “cancellata”. Che, in concreto, sia l’unico modo (illusorio e comunque antidemocratico) per “cancellare” gli italiani che votano Lega o Fratelli d’Italia.  E pazienza se intanto in Afganistan la Cina – perseguitatrice razziale degli uiguri islamici in patria – appoggia militarmente i talebani islamici per restaurare in Afghanistan una teocrazia che distingue moltissimo per “sesso, razza e religione”. Come del resto accade nei vicini Iran e Pakistan.