Pochi ormai ricordano – o vogliono ricordare – quando il presidente francese Emmanuel Macron insultava l’Italia “vomitevole”: perché il governo Conte (Uno) aveva chiuso i porti ai migranti dall’Africa (l’allora presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker richiamava Roma al “rispetto dei diritti umani”). I porti francesi erano chiusi allora e lo restano oggi: come dimostra l’ennesimo caso della “Alan Kurdi”, che sta facendo direzione verso le coste italiane perché Parigi ha negato l’approdo a Marsiglia. Così la nave della Ong Sea-Eye (ufficialmente tedesca e sostenuta anche dalla Diocesi di Ratisbona) è stata autorizzata a gettare l’ancora poco al largo del porto sardo di Arbatax: dove – ufficialmente – rimarrà per 3/4 giorni per superare una fase di maltempo; in attesa che Francia, Germania, Italia e Malta decidano chi deve accogliere i 125 raccolti poco al largo della Libia. (La situazione non sembra sostanzialmente diversa da quella della nave “Gregoretti”: per il cui caso l’allora vicepremier del Conte 1, Matteo Salvini, andrà a processo fra una decina di giorni con l’accusa di sequestro di persona; su esposto di Legambiente, giudicato poi meritevole di archiviazione dalla Procura di Catania ma non dal Tribunale dei ministri e con autorizzazione finale a procedere da parte del Parlamento).



Tutto questo avviene esattamente un anno dopo che i ministri degli interni dei quattro Paesi assieme al nuovo commissario Ue per l’immigrazione si ritrovarono a Malta, assumendo l’impegno formale di rivedere l’Accordo di Dublino e la gestione dei flussi migratori. Su quell’unico comunicato stampa – sventolato a Roma dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – il governo Conte (2) ha costruito quasi per intero la credibilità al suo programma “ribaltonista”: incentrato sulla modifica dei restrittivi “decreti sicurezza” varati dal Conte Uno. Quattordici mesi dopo – nonostante i rilievi formali del Presidente della Repubblica in sede di promulgazione – i cosiddetti “decreti Salvini” sono ancora in vigore.



Il piano “Nuovo Dublino” è stato intanto presentato ieri dal presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen: con un appello solenne a tutti i Paesi membri di partecipare in chiave di solidarietà a un nuovo meccanismo di accoglienza condivisa. In attesa che la bozza raccolga le adesioni delle 27 capitali (l’opposizione più rigida sta già venendo dall’Austria, sempre pronto a schierare i panzer sul Brennero), l’ennesima nave carica di migranti si prepara prevedibilmente a sbarcarli ancora in Italia, anzi in Sardegna: cioè nell’area che si è rivelata il principale focolaio della “seconda ondata” Covid nel Paese. 



E’ la stessa situazione che sta interessando il Midi francese: in un Paese già ripunteggiato di “zone rosse” dal presidente Macron (a Marsiglia è stata decretato – come a Parigi – un coprifuoco alle 22 per bar e ristoranti). Sebbene non ufficializzato, è con tutte evidenza questo il motivo che ha spinto l’Eliseo a rifiutare lo sbarco alla nave nel maggior porto francese sul Mediterraneo, ma anche il semplice avvicinamento alla Corsica. Il portavoce di Sea-Eye – tale “Gordon Isler”, di cui si sa poco o nulla – aveva peraltro affermato che Marsiglia fosse già nei programmi iniziali “il porto di destinazione” per il cambio di equipaggio e la preparazione di una nuova missione nel canale di Sicilia. L’allarme-Covid al di là delle Alpi è però evidentemente così “rosso” che nessuno sta mettendo in discussione “la richiesta francese all’Italia di accogliere la Alan Kurdi” (questo il titolo notarile del quotidiano cattolico transalpino La Croix). Né si registrano obiezioni politiche o attenzioni di magistrati; e tanto meno prese di posizione da parte del nuovo sindaco di Marsiglia: Michèle Rubirola, medico di base, eletta tre mesi fa alla testa di una lista green, dopo una vita trascorsa in tutte le militanze libertarie, antagoniste, terzomondiste.

Il silenzio di Rubirola – nella sostanza – manifesta lo stesso orientamento amministrativo del presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci: che tre settimane fa ha lanciato l’allarme sanitario per la situazione ormai insostenibile nell’ “hotspot Ue” di Lampedusa, strapieno di migranti in parte contagiati. La sua ordinanza di sgombero del centro di prima accoglienza nell’isola è stata però subito impugnata dal ministro Lamorgese: cui i magistrati (amministrativi) hanno dato immediatamente ragione, sconfessando la preoccupazione della Regione per il rischio-Covid. Il Viminale è stato così sollevato anche dall’imbarazzo di dover tentare la redistribuzione di centinaia di profughi presso altre regioni italiane, molte delle quali già in allarme-Covid. 

Se la rada di Marsiglia rimane quindi sgombra di navi Ong – e anche di “capitane Carole” intenzionate a forzarne il blocco – davanti alle finestre di Musumeci, a Palermo, è  all’ancora la nave-quarantena Allegra: nella quale cinque giorni fa sono state trasferite decine di profughi della “Open Arms”. Dalla nave – armata da una Ong spagnola – molti profughi si erano gettati in mare dopo 10 giorni di divieto di sbarco. Alla scelta del governo potrebbe non essere stato estraneo il clima politico della vigilia elettorale dello scorso: un episodio analogo si era registrato nell’ottobre 2019 prima delle elezioni regionali in Umbria. Oggi, in ogni caso, è stata una capitaneria di porto sarda – non siciliana – a aprire le acque territoriali italiane alla Alan Kurdi.

L’unica buona notizia su questo versante, in queste ore, sembra giungere da Roma. La Comunità di Sant’Egidio ha infatti deciso di accogliere in Italia 300 profughi provenienti dall’isola di Lesbo, teatro del drammatico rogo del gigantesco hotspot di Moria. Il protocollo d’intesa siglato fra Comunità e Viminale vuol favorire  “l’arrivo in modo legale e in condizioni di sicurezza di richiedenti protezione internazionale, con particolare attenzione ai soggetti più vulnerabili per i quali risulta necessario ed urgente un percorso di inclusione e stabilizzazione sociale, culturale e linguistica”.

Il progetto, che avrà la durata di 18 mesi, darà priorità al trasferimento di famiglie e alcuni minori non accompagnati. E’ una linea d’intervento che sembra simboleggiare in modo efficace uno sforzo “non governativo” più diretto, organizzato e visibile della sussidiarietà italiana sul terreno dell’accoglienza post-sbarco. Ed è un modello che sembra proporsi anche alla fitta rete di Ong europee: attivissime nell’armare navi per traghettare mediaticamente migranti dal Nord Africa all’Italia (resta esemplare il caso della “Sea Watch 3” capitanato dalla tedesca Carola Rackete nelle ore precedenti il Consiglio Ue del luglio 2019);  ma molto più inerti e silenziose sul terreno dell’accoglienza a lungo termine nei Paesi della comunità europea.

La Grecia – con l’appoggio deciso della Commissione Ue e dell’Europarlamento (oggi presieduto dal dem italiano David Sassoli) – continua d’altronde a confermare la linea durissima nel blindatura delle “frontiere esterne della Ue” verso le ondate di profughi siriani premuti verso l’Europa dalla Turchia di Erdogan. Il leader turco – oggi protagonista di una pressione bellicista in tutto il Mediterraneo, dalla Grecia stessa alla Libia – ha visto tuttavia rinnovati dalla Ue a trazione tedesca gli “aiuti umanitari” sul fronte migratorio. Inferiori, certamente, a quelli promessi all’Italia (ma anche a Francia, Spagna e Grecia) dal nuovo Recovery Fund Ue.