Chi, come chi scrive, da anni vive tra Argentina e Italia, più che dei cambiamenti nota invece delle somiglianze tra i due Paesi che con il tempo diventano purtroppo sempre più incisive specie per la situazione sia politica che sociale che accomuna due nazioni nelle quali la prima vanta una presenza, su oltre 40 milioni di abitanti, di circa 24 di origini italiane.
È ovvio che, come già commentato più volte, l’italianità dell’Argentina affoga più nei ricordi che altro, visto che della cifra sopra riportata, la maggior parte ha lontanissime origini, spesso oltre la quarta generazione, e nonostante un decreto del 1890 gli permetta ancora l’ottenimento della cittadinanza, di italiano non ha più nulla.
In una nazione che, fino al 1950, era considerata la quarta al mondo per la sua ricchezza e che poi ha intrapreso un cammino sempre più verso il baratro, non solo trasformandosi in uno dei Paesi più poveri del mondo, ma anche con una serie di crisi e default così frequenti da portarla a situazioni incredibili come l’attuale, dove si registra un’inflazione ormai vicina al 100% e una situazione che rischia di far apparire quella catastrofica del 2001 (che tutti ricordano) come secondaria. La causa di questo crollo è da ricercarsi nel Peronismo, un movimento perfetto figlio del Fascismo italiano, che dal 1945 al 1955 dilapidò le ricchezze della nazione con politiche populiste totalmente irrazionali che non solo prosciugarono le casse argentine, ma portarono alla completa decadenza l’economia a causa della profonda e spesso tesissima relazione tra Stato “pagatore” e classe imprenditoriale che alla fine portarono alla completa distruzione di imprese e di conseguenza del Paese.
La rivoluzione industriale ebbe quindi termine e l’Argentina ebbe la sua unica risorsa nell’agricoltura e l’allevamento di bestiame per la produzione di carne, settori che fino a non molto tempo fa la collocavano al primo posto al mondo: ma dopo la debacle del 2001 e l’ascesa al potere di Nestor Kirchner e il suo peronismo estremo figlio dell’immissione di componenti di sinistra nel movimento, effettuato da Peron prima della sua terza Presidenza e la cui espulsione fu causa della fondazione di movimenti terroristici che portarono l’Argentina ai terribili anni settanta. Il kirchnerismo portò l’Argentina, nel corso di 15 anni di potere, non solo alla crisi attuale, ma anche a due fattori cardine di queste politiche: l’estremizzazione della corruzione, che ha toccato vertici mai visti in precedenza e anche il conflitto con il settore agricolo, che ha prodotto perdite economiche incredibili.
La crisi attuale ha portato a quella della classe media, che più di tutte sta pagando il prezzo non solo per la chiusura delle aziende e la fuga di multinazionali dal Paese, ma anche perché non avendo più un futuro in molti hanno deciso di emigrare, specie i giovani, alla ricerca di una vita migliore. Lo Stato ormai è dedicato allo scambio politico tra voto e sussidi alle classi meno abbienti che alla fine provocano una distorsione non solo perché allontanano milioni di persone dal lavoro, visto che si guadagna di più con le elemosine nazionali, ma, con la statalizzazione completa di settori dell’economia, come in Venezuela, si è arrivati al suo blocco.
Ora da anni vedo come, specie dopo la nascita dell’Ue e l’introduzione dell’euro, in Italia sia partito un processo che ha portato, per politiche spesso imposte, a una perdita del potere di acquisto dei salari (che guarda caso da 30 anni sono al minimo), fatto che è stato accompagnato (e lo è ancora) da cessione di interi settori economici ad altri Paesi (specialmente Francia e Germania) che non possono considerarsi di certo integerrimi nelle loro politiche, tese sempre più verso un sovranismo che da noi viene combattuto considerandolo erroneamente fascista.
La spinta verso un aumento della povertà e, guarda caso, l’apparizione di un processo di inflazione ha subito un’accelerazione notevole dall’apparizione del Covid e di politiche sempre più stringenti dell’Ue che minacciano seriamente e particolarmente l’economia Italiana. Le code davanti alle mense della Caritas nelle quali si può incontrare il nostro vicino di casa, la povertà che rischia di investire 11 milioni di famiglie, i bassi salari e la mancanza di uno strumento efficace per combattere l’inflazione oltre che di politiche economiche efficaci che ormai si protraggono da 15 anni ci stanno portando verso una situazione molto simile a quella dell’Argentina, oltretutto con due classi politiche che vivono in un’orbita stellare rispetto alle realtà di ambedue i Paesi. E questo spiega non solo i risultati politici delle elezioni in Italia, ma sopratutto la disaffezione degli italiani al voto, segnale pericolosissimo per la nostra tenuta democratica, sempre più nelle mani di caudillos agli ordini di Paesi forti promotori del pensiero unico, dove le parole destra o sinistra hanno ormai perso ogni senso.
In Argentina a ottobre, come abbiamo scritto in altri articoli, si assisterà a un ricambio politico che, forse, segnerà la fine del Peronismo e le sue favolette: sperando che chi gestirà il Paese imponga finalmente politiche tese al suo sviluppo, al contrario di un’Italia dove pare che questo ancora non accada.
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