Caro direttore,
è vero che “non è tempo di discussioni” eccetera (questo spillo è infatti eccezionalmente breve in dovuto ossequio all’attuale e dovuto spirito patriottico).

Sarà vero – come scrive oggi l’editoriale del Corriere della Sera – che “il governo Conte sembra aver imboccato la strada giusta” eccetera (ma non l’avrebbe mai imboccata in assenza di un’opposizione democratica a Roma, al governo nelle Regioni del Nord colpito dal coronavirus).



È nello frattempo inconfutabile che un virtuale stato d’assedio nel Paese è stato dichiarato da sette successivi decreti del presidente del Consiglio dei ministri (il primo del 23 febbraio, l’ultimo dell’11 marzo). Questi traggono legittimità da una delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio e da un decreto-legge del 6 febbraio. Il Dpcm resta, nella nostra architettura legale, un “decreto ministeriale”: un atto amministrativo senza forza di legge: tipico veicolo di emanazione di regolamenti.



I Dpcm sul coronavirus sono invece giunti via via a disporre di libertà costituzionali: e avverrà probabilmente per più di due settimane. E soprattutto: il premier che li ha firmati è legittimato sì dal voto di fiducia del Parlamento ma non è mai stato eletto dagli italiani.

Sarà una coincidenza sfortunata e “non è tempo di discussioni” eccetera, ma così, in una democrazia costituzionale a profilo parlamentare non va bene: punto, senza eccetera. E va ancor meno bene quando anche politici e illustri costituzionalisti approfittano dell’“emergenza patriottica” per chiedere il veloce ridimensionamento delle fastidiosissime autonomie regionali: quelle che – essendo guidate da leader eletti – hanno per prime lanciato un allarme che un premier mai eletto (non “accountable” verso alcun concittadino) a lungo non ha ritenuto credibile. Forse sta già pensando – Giuseppe Conte – a tanti nuovi Dpcm con cui “governare” un’emergenza che per lui (e non solo) può avere i suoi lati positivi.