All’inizio della fine di un lungo crepuscolo, Angela Merkel si è consentita negli ultimi giorni una bizza che a Silvio Berlusconi – “amico ritrovato” nel Ppe – non sarebbe mai stata perdonata, anzi: gli sarebbe valsa probabilmente un’euro-risata come quella che la cancelliera scambiò nell’estate 2011 con il Presidente francese Nicolas Sarkozy, a “seppellire” il Cavaliere come Premier (anche se non come uomo politico europeo).
L’ultimo Consiglio Ue di Porto non ha visto siparietti ironici (anche se non è passata inosservata una battuta del Premier italiano Mario Draghi su un pavone di passaggio alla conferenza stampa). Eppure un misto di fastidio e imbarazzo si è avvertito: il Consiglio – il primo di nuovo “in presenza” dopo un anno di Covid – ha visto infatti la diserzione della Merkel, solo collegata da Berlino. Ufficialmente perché la situazione sanitaria in Germania richiedeva alla cancelliera di essere in patria al comando delle operazioni (forse anche per rintuzzare le spinte “riaperturiste” molto forti nel più grande Paese Ue). Nei fatti Merkel è sembrata compiere uno strappo abbastanza clamoroso al galateo Ue per due ragioni squisitamente politiche: non darsi in pasto ai “media” nel primo di una lunga serie di passi d’addio; e – soprattutto – pilotare a distanza una spregiudicata mossa tattica.
Il “no” della cancelliera all’apertura del Presidente americano Joe Biden sulla sospensione dei brevetti sui vaccini Covid è andato anzitutto a rompere le uova nel paniere di un Consiglio Ue il cui baricentro sta rapidamente tornando filo-Usa: anche per l’arrivo nella stanza dei bottoni di un Premier italiano pesante come Draghi. L’Europa merkeliana non è mai stata quella “atlantica” del secolo scorso: è sempre stata invece quella autonomista a tutto campo globale in quanto riancorata trent’anni fa alla Germania riunita, a cavallo fra Ovest ed Est. Fra sei mesi – quando sarà Draghi a ospitare a Roma il G20 con Biden – può darsi che la Germania si presenti già con un nuovo cancelliere, forse in discontinuità rispetto ai 16 anni di “Mutti Angela” Quest’ultima, tuttavia, sembra intenzionata a difendere la sua eredità politica fino all’ultimo istante di potere e anche oltre.
Il passo di Biden contro Big Pharma è parso associare motivazioni sociopolitiche (subito raccolte, fra gli altri, da Papa Francesco) e preoccupazioni diplomatiche. La gestione “di mercato” della campagna vaccinale da parte di Astrazeneca, Pfizer, Johnson & Johnson, ecc. (e in chiave sovranista da Usa e Gran Bretagna) ha messo l’Europa in seria crisi, per non parlare dell’Africa e oggi, drammaticamente, dell’India. Intere macro-aree si sono ritrovate in terra di nessuno, alla mercé più che potenziale dei vaccini russi o cinesi. E quella di Biden è stata in effetti una mano tesa all’Europa, semmai tardiva e un po’ troppo intessuta di “valori”.
Merkel ha avuto in ogni caso buon gioco nel respingerla, schierandosi sul caposaldo della grande industria tedesca: certamente disturbata – come del resto quella americana – dall’entrata a gamba tesa della Casa Bianca sulla proprietà intellettuale; e soprattutto sintonica con Merkel nel voler giocare in autonomia le proprie grandi partite sui mercati (simbolico lo scontro corrente fra Usa e Germania sul completamento del gasdotto Nord Stream 2 fra Russia ed Europa). E il passo in direzione dell’incertissima campagna elettorale tedesca è brevissimo.
Angela Quarta non è ricandidata, ma è chiaro che rifiuta l’idea di essere bocciata all’ultimo giorno dal Paese che ha lungamente governato. Ciò che invece sta già accadendo da almeno un paio d’anni in tutte le elezioni nei lander. E e 120 giorni dal voto politico Cdu-Csu sono ai loro minimi storici nei sondaggi: la “grande coalizione” che ha sostenuto Merkel negli ultimi tre mandati non esiste più. Se l’ondata di piena della destra xenofoba e neonazista di Afd sembra arginata, la “vecchia Cdu” e il “vecchio Spd” non sono riusciti a frenare l’ascesa progressiva dei Verdi: oggi in testa ai “poll”, con forti chance di entrare in qualsiasi futura maggioranza.
Bene: la “dottrina Biden” sui vaccini (cioè sul riequilibro strutturale dei rapporti fra politica, ricerca scientifica e industria nel multilateralismo commerciale globale) sembra perfettamente tagliata sui desiderata dei Grunen. Ci si può stupire se Merkel abbia voluto bacchettarla così platealmente, lanciando segnali inequivocabili al vastissimo elettorato industriale e sindacale dell’Azienda-Germania? L’America di Biden è la stessa che ai tempi di Obama ha già “bombardato” la potentissima industria tedesca dell’auto sulle emissioni nocive; è la stessa che sbandiera gli accordi sul clima anche in faccia a una Germania non proprio prima della classe nella decarbonizzazione.
Può darsi che – come Berlusconi nel 2006 – anche Merkel faccia l’ultimo regalo alla sua Cdu recuperando in poche settimane punti decisivi di svantaggio contro i Verdi e preservando il cancellierato per il suo delfino Armin Laschet. Non è detto tuttavia che – al suo ultimo round interno e internazionale – riesca a convinca ancora i tedeschi (e gli europei) di muoversi da grande statista e non da leader politica ossessionata da se stessa. Che è poi la stessa accusa (peraltro abusata) mossa al Cavaliere da quasi trent’anni.
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