L’Europa non scende a patti. Il Consiglio Ambiente, malgrado le proteste di tutte le organizzazioni agricole europee, ha deciso di includere il settore bovino nel campo di applicazione della direttiva sulle emissioni industriali (IED). Una decisione davanti alla quale l’Italia ha reagito in modo convinto: il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin non ha infatti accolto la proposta di compromesso della Commissione.



Un argine che ha trovato pieno appoggio presso le associazioni di categoria. “Ringraziamo il Ministro Pichetto Fratin che, d’intesa con il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, ha saputo fare fronte comune e difendere la filiera bovina italiana – afferma il direttore generale di Assocarni François Tomei -. La netta presa di posizione del nostro Paese è particolarmente significativa perché scopre le carte di una Commissione europea che sempre più maramaldeggia con proposte green iperboliche che poi portano all’ennesimo compromesso che consente alle diplomazie degli Stati membri di salvare la faccia con ‘il miglior risultato possibile’. In realtà, queste decisioni finiscono per contribuire a minare la sovranità alimentare europea come dimostrano le evidenti difficoltà di autoapprovvigionamento nel campo cerealicolo derivanti dalle apprensioni sulle proroghe dell’accordo sul grano nel Mar Nero”.



La proposta della Commissione si scontra peraltro con una teoria – considerare il settore bovino come altamente inquinante – che viene sconfessata dai numeri. “Dai dati ISPRA del 2020 – precisa Tomei – emerge che le emissioni dell’allevamento italiano pesano appena il 5% del totale, rispetto alla media mondiale del 14,5% (dati FAO). Certo a questo valore va aggiunto l’aumento di sequestro di carbonio compiuto dalle aree nelle quali si pratica l’allevamento. Ma il carbonio del metano emesso dalle fermentazioni ruminali risiede in atmosfera appena 11,5 anni, per essere poi riassorbito dalle piante in un ciclo biologico, rispetto all’origine fossile del carbonio emesso dai combustibili delle imprese industriali, che al contrario si accumula nell’atmosfera per centinaia di anni provocandone il riscaldamento”.



E da qui la conclusione: “Inaccettabile che un settore come quello bovino italiano, che presidia il 40% del territorio rurale nazionale, contribuendo a contrastare lo spopolamento e il degrado delle aree interne, possa essere assimilato a una qualsiasi industria fossile” afferma Tomei.

E il presidente di Copagri Tommaso Battista rincara la dose: “Il rischio concreto è quello di andare a incidere ulteriormente sulla redditività di un settore che sconta già notevoli difficoltà, a partire dai noti incrementi record dei costi di produzione e dell’energia, e che ora rischia seriamente di venire gravato da nuovi costi e di essere assoggettato a ulteriori e gravosi impegni burocratici e limitazioni operative, che potrebbero compromettere irrimediabilmente la stabilità di un comparto di fondamentale importanza per l’economia e per l’agroalimentare nazionale. Facciamo quindi appello agli europarlamentari italiani, che dovranno ora vagliare il testo, affinché si adoperino per correggere il tiro di una proposta che per il nostro Paese risulta assolutamente negativa”.

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