Caro direttore,
il caso Pirelli continua a dipanarsi in modi anomali. In esso hanno finora fatto notizia, principalmente, le dimissioni improvvise del giornalista del Messaggero che per primo ha riferito di un’emergenza-Cina nel controllo della Bicocca. Le dimissioni sono state in effetti accettate con insolita pubblicità dall’editore Francesco Gaetano Caltagirone. Il finanziere romano – al pari del giornalista – non ha tuttavia minimamente commentato l’accaduto e tanto meno confermato che alla base vi fosse il contenuto dell’articolo: cioè un appello al Governo di Marco Tronchetti Provera – vicepresidente esecutivo di Pirelli e primo azionista italiano – perché eserciti i cosiddetti golden power contro la cinese Sinochem.



La holding industriale del Dragone – a controllo statale – è dal 2015 il primo azionista relativo (37%) di Pirelli. La Camfin (finanziaria di Tronchetti) ne ha il 14%, mentre Alberto Bombassei – patron di Brembo – è titolare del 6%. Secondo le indiscrezioni (rilanciate in modo martellante soprattutto dal Financial Times) i cinesi non recederebbero dalla pretesa – nota da mesi ai mercati – di avere più poteri nella governance del gruppo italiano: mettendo sul tavolo, in caso di rottura, anche l’ipotesi dello sganciamento.



Un intervento golden del Governo italiano (su un ingresso a suo tempo autorizzato dall’Ue) a sterilizzare ogni pretesa o potere Sinchem in Pirelli sarebbe motivato dall’esigenza di tutelare un’azienda “di interesse nazionale” (un precedente recente è la decisione del Governo Draghi di bloccare l’acquisizione cinese di piccole aziende tecnologiche). Lo sfondo è caratterizzato dal netto raffreddamento occidentale (europeo e statunitense) verso la cooperazione con la Cina nell’escalation geopolitica. Il caso Pirelli offrirebbe quindi al Governo la possibilità di alzare un emblematico muro “made in Italy” sulla “Via della Seta”: sulla quale a suo tempo anche Sinochem è giunta a soccorrere  le esigenze di Tronchetti di stabilizzare il controllo di Pirelli.



Ma questo è stato appunto l’approccio mediatico a una vicenda nella quale il Governo, con qualche evidenza, è stato o si è sentito tirato per la giacca dal Messaggero: in una fase in cui l’Esecutivo Meloni sta certamente ritirandosi dalle posizioni filocinesi dell’esecutivo M5S-Pd, per allinearsi con la nuova dottrina Usa/Nato. Ma questo non può certo avvenire confondendo le ragioni dell’alta diplomazia economica nazionale con il caso singolo di un finanziere pur di lungo corso in Italia. Tronchetti e Pirelli sono stati fra l’altro al timone di Telecom Italia dopo il fallimento della gestione Colaninno.

Di più: il “patriottismo” che anima Tronchetti Provera su Pirelli come “laboratorio tecnologico” d’avanguardia dell’Azienda-Italia avrebbe come inesorabile punto di caduta la richiesta di intervento pubblico per tamponare la prevedibile “falla” aperta nell’azionariato  da una probabile fuga di Sinochem. In Borsa hanno già preso a circolare congetture sul possibile sostegno offerto dalle grandi banche nazionali che sono in effetti già state al fianco di Pirelli e Tronchetti una ventina d’anni fa quando fu necessario ricostruire un nucleo stabile in una ancora giovane Telecom privata, dopo l’Ipo del 1997 (governo Prodi-1) e la “madre di tutte le Opa” nel 1999 (Governo D’Alema).

In quell’avventura di classico “capitalismo misto” italiano con Pirelli era a bordo anche Edizione Holding: la famiglia Benetton era fresca dell’essersi vista assegnare le Autostrade dal Governo Prodi-1. Fu il Governo Prodi-2 a essere invece a un passo dal portare a termine con una grande ristrutturazione di Telecom, lo scorporo della rete verso Cassa depositi e prestiti. Quel piano è tuttora in discussione 16 anni dopo e nel frattempo la Cdp ha ricomprato Atlantia (cioè le Autostrade) da Edizione.

L’operazione – concepita dal Conte-1 ma realizzata dal Conte-2, con l’ex Ds Roberto Gualtieri al Mef e la prodiana Paola De Micheli al Miti – era nata come “punizione” ai Benetton per il disastro del Ponte Morandi: ma si è conclusa con la semplice ristatalizzazione di Autostrade, utilizzando il risparmio postale degli italiani per liquidare i Benetton al valore complessivo di 9,3 miliardi. Se al momento non è circolata nessuna ipotesi o voce di possibile intervento di Edizione in Pirelli hanno invece già preso forma scenari di ingresso “patriottico” (“autostradale”) della stessa Cdp piuttosto che del fondo sovrano “Made in Italy” in gestazione. Lo Stato italiano al posto dello Stato cinese. Sotto l’occhio tuttora vigile di Prodi, grande sponsor del Protocollo Italia-Cina siglato nel marzo 2019. Quello che Giorgia Meloni sarebbe ora pronta a congelare.

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