All’ultimo Consiglio Ue il Premier italiano Mario Draghi si è espresso contro ogni muro anti-migranti; scendendo personalmente in campo contro un pattuglione non più limitato ai “soliti noti” come Polonia e Ungheria. Anche Austria e Grecia hanno sottoscritto una richiesta di fondi alla Commissione Ue per fronteggiare le nuove ondate di profughi, alimentate ora anche dalla crisi afghana.
Sullo sfondo rimane intanto la riapertura di negoziati “per cassa” a suo tempo condotti dall’Europa germanocentrica con il raìs turco Recep Erdogan, che svolge da anni il ruolo di “rubinettiere” dei flussi. Ora anche in Libia.
Al di al di là dello scontro del momento fra Bruxelles e Varsavia sulla prevalenza normativa e sui diritti civili, a margine del Consiglio si è appreso anche che alcuni Paesi del Nord Europa – “falchi” o “frugali” a seconda dei tavoli – hanno (nuovamente) accusato i Paesi di primo approdo – Italia, Spagna e Grecia – di vigilare male i confini marittimi esterni dell’Ue: di consentire troppi sbarchi illegali, soprattutto di migranti economici. Sarebbe stato in particolare Mark Rutte, Premier olandese da poco riconfermato al voto, a denunciare i cosiddetti “movimenti secondari”, in concreto: la circolazione più o meno libera o legale di migranti dai Paesi del Sud Europa a quelli del Nord.
Fin qui, d’altronde, nessuna reale novità. È dall’insediamento del Governo Conte-2 che l’Italia ha una posizione – per la verità solitaria in Europa – di totale apertura ai flussi migratori. È dal settembre 2019 – dal primo vertice di Malta – che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese insiste inutilmente con i colleghi europei sulla necessità di una politica dell’accoglienza condivisa: cioè di un’applicazione effettiva, nella lettera e nello spirito, degli accordi di Dublino 2013, con il Governo Letta in carica a Roma, seguito fino al 2018 dai Governi Renzi e Gentiloni.
Il vertice di Malta si tenne pochi giorni dopo il “ribaltone” di governo in Italia e meno di tre mesi dopo l’incidente di Lampedusa: quando la Sea Watch 3 forzò la vigilanza dei confini marittimi (italiani ed europei) ordinata dal ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, vicepremier dell’esecutivo Conte-1. La nave – armata dall’omonima Ong tedesca – batteva bandiera olandese (solo nel dicembre successivo fu registrata in Germania) e speronò una motovedetta della Guardia di Finanza per entrare nel porto di Lampedusa. La Sea Watch 3 era comandata dalla “capitana” tedesca Carola Rackete, figlia di un ex ufficiale della Kriegsmarine. Fu posta agli arresti domiciliari dalla Procura di Agrigento, che tuttavia la liberò subito, consentendole di rientrare in Germania.
Rackete è stata successivamente ospite anche del Parlamento europeo, su invito del Presidente David Sassoli. Salvini è stato invece più volte inquisito – e giusto ieri rinviato a giudizio a Palermo – per le decisioni assunte dal ministero nella gestione dei flussi migratori. Che però appaiono le stesse ora sollecitate dai governi di L’Aja o Vienna, nel sostanziale silenzio di Parigi e Berlino. Quanto al presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è sufficiente ricordare che nel marzo 2020 volò ad Atene – assieme a Sassoli – per dare la totale solidarietà Ue al premier greco Kyriakos Mitsotakis che aveva apprestato difese militari al confine turco: dove Erdogan schiacciava decine di migliaia di nuovi profughi siriani.
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