La Cancel Culture dilagante – quella che in Italia ha colpito Indro Montanelli – non sembra risparmiare neppure Eugenio Scalfari: anche se in via speculare, com’è del resto lecito attendersi nell’eterno confronto fra i due principi del giornalismo italiano del dopoguerra.

Nella domenica in cui i grandi media (Repubblica compresa) si sono interrogati con toni preoccupati e spesso polemici sulla volontà del Premier di prorogare lo stato d’emergenza, il Fondatore ha aperto il suo abituale sermone con un’affermazione lapidaria: “Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta operando in modo abbastanza notevole. Cerca di migliorare il nostro Paese…”. Altrettanto assertivo è apparso il wishful thinking conclusivo: “Al Quirinale potrebbe andare Romano Prodi, a Palazzo Chigi Mario Draghi e a Bruxelles Giuseppe Conte”.



Ciò che colpisce non è il merito della posizione. Scalfari è da sempre estimatore convinto di Conte, benché sia un’opinione contestata da molti: anche sulle pagine di Repubblica, anche nell’area politico-culturale di cui cui il Fondatore è da decenni Vate indiscusso. Colpisce un po’ di più il tentativo di lanciare una sorta di triumvirato per la Ricostruzione nazionale che – anzitutto – sembra porre una figura come quella di Conte sullo stesso piano di quelle di Prodi e Draghi. Ma, ancora una volta, è uno spunto che può rientrare negli standard di un column firmato da un giornalista informato e influente.



Non riesce invece a passare inosservata  l’assenza di ogni riferimento alla “blitz dei blitz” che Conte ha preannunciato: l’intento di auto-prorogarsi “pieni poteri” in nome di un’emergenza sanitaria che si starebbe protraendo. È un terreno su cui è si è immediatamente acceso un dibattito di merito. Conte e il suo “governo dei Dpcm”, anzitutto, hanno fatto negli ultimi sei mesi un uso convincente di quei poteri che Matteo Salvini non ha mai avuto e probabilmente neppure voluto, venendo comunque espulso – per il solo sospetto – dal “ribaltone Conte” di un anno fa?



La questione centrale resta tuttavia di metodo, anzi: di metodo costituzionale, il più importante in una Repubblica democratica come l’Italia dal 1948. Che la Carta non preveda “un diritto speciale per tempi eccezionali” lo ha già ribadito per tutti la più alta autorità garante della “legge delle leggi” in Italia: il presidente in carica della Corte Costituzionale, Marta Cartabia. Perché allora Scalfari – da settant’anni orgoglioso defensor della liberaldemocrazia in Italia contro ogni “forza oscura della reazione in agguato”- nel 2020 sembra voler ignorare un passaggio così incerto e problematico?

Eppure il Fondatore di Repubblica deve il decollo definitivo del suo cursus prestigioso all’inchiesta sul “Piano Solo”: sugli eventi controversi che nell’estate 1964 sembrarono orientare il Paese verso una svolta autoritaria. Fu Scalfari, direttore dell’Espresso, ad avviare tre anni dopo una delle più clamorose campagne di stampa della storia dell’Italia repubblicana. Una pietra miliare tout court: Scalfari e il giornalista Lino Jannuzzi subirono in primo grado condanne a pene detentive. Evitarono entrambi il carcere soltanto perché il voto politico era imminente e il Psi offrì a entrambi una candidatura sicura, utile al beneficio dell’immunità parlamentare. 

In quell’Italia ancora giovane e fragile i pesi e i contrappesi della democrazia formale e sostanziale funzionarono. Agirono la libertà di stampa, il voto popolare e l’immunità parlamentare. Scattarono, a favore per i due cittadini-giornalisti, istituti costituzionali e dinamiche politiche che li tutelarono dagli effetti di una pronuncia giudiziaria fortemente sospetta di condizionamenti da parte di apparati dello Stato, irrequieti e opachi nel nuovo contesto democratico.

Mezzo secolo dopo Scalfari sembra aver cancellato quel pezzo di storia patria dalla sua stessa memoria personale. Il Fondatore sembra diventato – assieme al direttore dl Fatto Quotidiano, Marco Travaglio – il primo fan del nuovo “Piano (Conte da) Solo”. Non pare avere opinioni e tanto meno obiezioni riguardo i poteri speciali al premier prorogati “a braccio”; su un Parlamento emarginato (“enucleando”, avrebbe forse detto il “Piano Solo” originario); su un Governo inerte, ma per definizione “senza alternative”;  su appuntamenti elettorali  fissati o rinviati a discrezione del Premier; sulle grandi manovre di palazzo in corso attorno al Quirinale. Il vecchio Espresso, chissà, avrebbe lanciato una classica inchiesta sui “misteri d’Italia”.