Un Governo sospettato di sudditanze verso altri Stati è costretto – all’interno della Repubblica – a procedere per via giudiziaria contro alcune amministrazioni locali, accusate di violare le sue direttive sulla Riapertura. Così facendo il Conte-2 rende palese, anzitutto, la sua incapacità di esercitare il potere esecutivo in modo efficace perché anzitutto credibile. E mostra di tradire il mandato istituzionale affidatogli secondo le regole costituzionali della democrazia rappresentativa: anche dai cittadini della Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione Calabria o del Friuli Venezia Giulia.



Quando palazzo Chigi si ritrova contestato con gli stessi argomenti e su questioni analoghe da enti territoriali per molti versi agli antipodi nella penisola vuol dire che ha perduto gran parte della “sovranità” – autorità democraticamente responsabile – attribuitagli dal giuramento al Quirinale e quindi dalla fiducia del Parlamento. Non stupisce, comunque, che ciò avvenga dopo una lunga fase di governo “eccezionale” a colpi di decreti personali del premier, sistematicamente fuori dal perimetro dei “controlli e contrappesi” costituzionali. 



Quando imbocca la via polverosa della magistratura amministrativa – nota anche per le sua scarsa terzietà rispetto ai poteri statali – il Governo autodenuncia la sua inadeguatezza a risolvere i problemi del Paese per via politica, cioè democratica: non burocratica e tanto meno giudiziaria.

La Grande Riapertura – com’è già stato per la Grande Chiusura – è una partita che il Premier e i suoi ministri stanno stanno giocando con grande difficoltà. E il sistema-Paese manifesta il suo disagio come può. Non potendo esercitare la sovranità costituzionale attraverso il voto, dirotta la sua insoddisfazione su un altro istituto costituzionale: il federalismo. E può non essere superfluo ricordare che l’autonoma regionale oggi nel mirino per sospetta “eversione leghista” è stata inizialmente attuata su spinta dei partiti della sinistra storica per rompere l’egemonismo centralista della Dc.



Lo sviluppo definitivo (la riforma del titolo V della Carta) è maturato nel 2001, quando una legge costituzionale approvata da un Parlamento a maggioranza centrosinistra è stata confermata a larga maggioranza da un referendum popolare. Poco più di tre anni fa, un nuovo  referendum ha visto invece gli italiani respingere in modo netto un progetto di riforma ricentralizzatrice dello Stato propugnata da un Governo di centrosinistra. Due anni fa, infine, sono stati i referendum popolari locali in Lombardia e Veneto ad avallare la richiesta di autonomia rafforzata, cui si è unita anche l’Emilia Romagna:  dossier sistematicamente ignorati dai governi Conte 1 e 2.

Oggi l’esecutivo M5S-Pd-Leu-Iv – messo in mora dalle Regioni anche sulla Fase 2 – ripropone le sue istanze ricentralizzatrici su due versanti. Il primo è la rimessa in discussione in corsa delle autonomie nel gioco dello scaricabarile sulle responsabilità di 30mila morti, finora, da coronavirus. L’approccio legalistico viene ora riproposto quando sono in gioco i poteri sulla ricostruzione: anzitutto quelli di autorizzare o meno le categorie economiche a riprendere l’attività. Scatenare una “Regionopoli” è evidentemente agli occhi della coalizione Conte il modo migliore – o forse l’unico disponibile – per garantirsi l’immunità giudiziaria riguardo l’emergenza sanitaria, orientando le polemiche verso le regioni “insubordinate”; e per assicurarsi la sopravvivenza politica (mescolando azione di governo dell’emergenza e calcoli elettorali) e quindi l’esclusiva dei poteri di spesa dell’ingente indebitamento in arrivo.

La maggioranza giallorossa – già latitante da tempo nella verifica della sua tenuta parlamentare –  attacca dunque le autonomie locali per mascherare le sue inadempienze di governo e cerca la sponda sul potere giudiziario. E questo accade mentre i delicatissimi rapporti costituzionali fra politica e magistratura attraversano una crisi senza precedenti.

Il ministro della Giustizia – autore di una discussa riforma giudiziaria appena prima dell’emergenza-virus – è stato pubblicamente attaccato da un Pm oggi membro del Csm, su una questione a un tempo politica e personale. E in questi stessi giorni sui media è ricominciato il flusso di intercettazioni velenose riguardanti il “caso Palamara”: la guerra intestina scoppiata fra le toghe, che le indagini del 2019 hanno rivelato essere attivissime nel varcare i muri costituzionali eretti a tutela della sua indipendenza dalla politica.

Su queste pagine ci siamo già detti preoccupati per l’impegno impervio cui sono chiamate le istituzioni di garanzia ultime della democrazia repubblicana: la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale. Il rischio-Regionopoli spinge a rinnovare la fiducia verso il Quirinale e la Consulta.

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