Ieri mattina, a Bruxelles, avrebbe dovuto essere il primo giorno di lavoro per la nuova commissione Ue e il presidente Ursula von der Leyen – finalmente in carica – avrebbe potuto far risuonare la campanella d’inizio di un mandato quinquennale. Non è stato così: la commissione von der Leyen resta in anticamera, perché i commissari designati da Francia, Romania e Ungheria non hanno superato l’esame dell’Europarlamento e hanno dovuto essere rinominati. A oggi è stato rubricato in via presuntiva un nuovo “start” per il 1° dicembre, ma non manca chi invita già a guardare al nuovo anno. Se non addirittura a una “crisi di governo” preventiva e senza precedenti nella quasi trentennale storia dell’Europa di Maastricht.
Nel frattempo resta in carica la commissione presieduta da Jean Claude Juncker, che tuttavia la settimana prossima subirà un intervento chirurgico. In un clima di incertezza pari agli impegni del “governo Ue” (anzitutto i negoziati con Londra su Brexit), ieri ha fatto sentire la sua voce Margrethe Vestager: la commissaria uscente all’Antitrust, confermata nell’incarico nella commissione von der Leyen con la promozione a vicepresidente esecutivo. In un’intervista a un pool di quotidiani europei (fra cui l’italiano Repubblica) l’ex ministro delle Finanze danese ha parlato di tutto un po’: soprattutto della confrontation transatlantica con l’America di Trump, fra dazi, multe e indagini sui giganti californiani della Rete. Ma il titolo principale regalato ai giornalisti europei è stato essenzialmente politico.
“Con i sovranisti l’Europa si deve misurare”, le ha fatto dire in prima pagina Repubblica. Una presa di posizione non banale, mentre la presidente nominalmente designata è obbligata a un silenzio forzato, e tutt’attorno si moltiplicano le perplessità su una governance europea ripartita col piede sbagliato in luglio: quando von der Leyen emerse come nome di faticoso compromesso, senza poter contare neppure sull’appoggio della leader del suo Paese, Angela Merkel. Un cammino che non è affatto proseguito con passo migliore quando la stessa von der Leyen ha superato per un soffio lo scrutinio di Strasburgo con i voti decisivi dei populisti più anomali d’Europa: gli italiani di M5s.
Vestager – proponendosi in modo poco equivocabile come punto di stabilità nella caotica transizione Ue – è parsa fissare alcune coordinate aggiornate. Anzitutto: citando i “sovranismi” è parsa guardare essenzialmente alle forze politiche al governo in Austria, Ungheria, Polonia e alla Lega, passata ora in Italia all’opposizione del premier pentastellato Conte. Ma senza trascurare – in prospettiva – il futuro dei rapporti con la Gran Bretagna o le specifiche instabilità interne in Germania, Francia, Svezia e Belgio. Ma quale Europa “legittima” vuol sedersi al tavolo con i nuovi pretendenti a un ruolo a Bruxelles?
Vestager – esponente di punta della famiglia liberal-democratica di Emmanuel Macron, ma forte di un rapporto di ferro con la Merkel – non ha dubbi: la vecchia Europa a due pistoni (Ppe e S&D) è morta il 26 maggio scorso. Oggi come minimo c’è anche la sua Renew Europe nel ruolo di “terza forza”. Se quindi fosse necessario sostituire in corsa von der Leyen, Vestager si sente gia pronta: veterana, quota rosa, competente su dossier strategici, più funzionale della tedesca a un vero compromesso Parigi-Berlino e a un “nuovo modo” di confrontarsi con i leader sovranisti.
Come minimo, da ieri, a fianco di von der Leyen è spuntata una virtuale “co-presidente”, anche se non è chiaro quanto gradita. Ma nulla di quanto sta cambiando giorno dopo giorno a Bruxelles sembra potrà rimanere estraneo a quanto sta cambiando a Roma. Von der Leyen e Conte-2 (battezzato “governo Orsola” da Romano Prodi) sono entrambi figli delle stesse 40 ore di negoziati Ue fra il 30 giugno e il 2 luglio scorsi.