La visita del presidente dell’Europarlamento, il dem italiano David Sassoli, al muro militare eretto dalla Grecia contro i migranti siriani ammassati al confine turco sembra certificare definitivamente uno dei grandi “falsi ideologici” su cui è maturata l’estate scorsa una doppia svolta politica: in Europa e in Italia. Una svolta avviata – quattro giorni dopo lo speronamento della “capitana Carola” a Lampedusa – con l’elezione di Sassoli a Strasburgo, concordata dal premier Conte 1 con gli altri leader europei e resa possibile dai voti M5s, nonostante l’europarlamentare Pd militasse nelle fila dell’opposizione al governo gialloverde in Italia e il Pse fosse uscito come il vero sconfitto dal voto continentale di maggio.



La rapida conseguenza in Italia è stata il “ribaltone” e la nascita del Conte 2 con la dichiarata priorità dell’abbattimento delle politiche di gestione dei flussi migratori adottate fino ad allora dal vicepremier Matteo Salvini e alla ricostruzione di un quadro operativo di solidarietà Ue nell’accoglienza.



“Ora vanno cambiate le regole sui migranti”: sono state, lo scorso 3 luglio, le prime parole pronunciate da Sassoli pochi minuti dopo l’elezione al vertice del Parlamento Ue. Otto mesi dopo, è già significativo il semplice confronto con le dichiarazioni rilasciate in partenza per la frontiera greco-turca, assieme alla presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel. “Vado in Grecia – ha detto Sassoli – su invito del governo, insieme alle altre istituzioni per fare il punto di una situazione drammatica che interessa la Grecia e interessa l’Europa. Abbiamo ricevuto tante notizie, credo che sia il caso di verificarle. È da tempo che la Grecia è lasciata sola. Oggi siamo in presenza anche di una politica da parte del governo turco che sta minacciando di mandare gli immigrati in Europa. Noi dobbiamo accoglierli, dobbiamo proteggerli. Così come è stato fatto anche in altre zone d’Europa. Ma non lasciando da sola la Grecia che è un paese europeo. Noi vogliamo sostenere la Grecia nella sua azione”.



La Grecia sta già agendo – probabilmente approfittando della libertà di “essere stata lasciata sola” dall’Ue – come confermano alcuni degli ultimi tweet del premier Kyriakos Mitsotakis. “Voglio essere chiaro: la Grecia non tollererà nessun ingresso illegale. Garantiremo la sicurezza dei nostri confini”. “Il presidente Usa Donald Trump riconosce in una telefonata il diritto della Greca di proteggere i suoi confini”.

In concreto: i ripetuti assalti di migliaia di migranti siriani in transito, incalzati dal regime turco a forzare l’ingresso nei confini terrestri europei, sono stati respinti manu militari dalle forze greche. Nel frattempo all’approdo marittimo dell’isola di Lesbo un bambino è annegato mentre la guardia costiera ellenica ha respinto con violenza un barcone carico di profughi.

Di quali “verifiche” hanno bisogno Sassoli e von der Leyen? È tutto in rete, talora in live streaming. Anche lo scorso giugno, non ci sarebbe stato bisogno di “verificare” nulla al largo di Lampedusa: bastavano i selfie dei suoi colleghi Pd sulla tolda della Sea Watch 3, a fianco della “capitana Carola”. Nessuno, comunque, si mosse allora dai palazzi dell’eurocrazia per venire in Italia “a fare il punto” sulla crisi migratoria nel Canale di Sicilia. Un solo “punto” è stato fatto, soltanto in settembre a Malta, con il nuovo ministro dell’Interno italiano, Luciana Lamorgese: rispedita a Roma con un comunicato stampa e poi riabbandonata a se stessa. Tanto che i “decreti Salvini” – a parole aborriti da tutti in Europa, a cominciare da Sassoli – sono ancora intatti.

E pensare che il vicepremier italiano si era mosso allora con molto meno “odio” di quanto ne contengano i gas lacrimogeni con cui il premier greco sta ricacciando i migranti siriani. Salvini non voleva respingere i migranti dall’Africa: voleva invece esattamente la solidarietà europea che oggi viene tributata da Sassoli e “Orsola” a Mitsotakis-il-chimico. E quest’ultimo è seriamente intenzionato a ricacciare i migranti siriani nei campi d’internamento di Erdogan (non troppo diversi da quelli della costa libica) o addirittura “a casa loro”, in guerra civile.

A Lampedusa, otto mesi fa, è stata invece l’Italia a subire un attacco militare da una nave battente bandiera europea, gestita da una Ong europea e comandata da un cittadino europeo. E soltanto per aver trattenuto alcuni giorni i migranti sulla nave, il vicepremier è stato perseguito dalla magistratura e infine mandato sotto processo dal Parlamento italiano.

Oggi Sassoli e von der Leyen sono intanto in carovana in Grecia per plaudire un paese che “difende” l’Europa con forza e soprattutto sbarra in partenza la rotta balcanica su cui nel 2015 transitò un’altra ondata di profughi siriani, che Angela Merkel accolse infine in Germania, incalzata anche dalle esigenze di un’industria in pieno boom. È cominciato comunque allora il declino politico della cancelliera, oggi premuta in casa dagli estremisti xenofobi: dopo avere spezzato le reni alla Grecia (dove oggi c’è infatti un premier aderente al Ppe) e pagato pizzi miliardari (sul bilancio Ue) al presidente turco Erdogan. Il quale oggi ne vorrebbe altri: anche per finanziare il suo espansionismo bellico. Anzitutto in Libia: sulle spiagge da cui continuano a partire gli scafisti verso i traghetti delle Ong al largo delle coste italiane.

P.S. In queste ore, sono parsi venire al pettine alcuni nodi di un’altra narrazione sulla quale si regge dall’inizio la maggioranza giallorossa. La campagna contro il linguaggio d’odio – quintessenzialmente innervato nell’antisemitismo – ha visto radunarsi dietro la senatrice a vita Liliana Segre anche settori e personalità importanti del mondo cattolico (tanto che la nuova coordinatrice nazionale per la lotta all’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio è Milena Santerini, docente dell’Università Cattolica). Ciò non ha impedito a Papa Francesco, in visita a Bari per un summit dei vescovi Cei su tutti gli sviluppi in corso nel Mediterraneo, di esprimere dieci giorni fa preoccupazioni e riserve per il piano di pace in Palesina presentato dal presidente americano Donald Trump (le prospettive di annessione di territori palestinesi a Israele sembrano ora rafforzate dall’affermazione elettorale del premier Bibi Netanyahu). A una prima reazione critica da parte della giornalista e politica Fiamma Nirenstein alle parole del Papa, ha ora fatto seguito una presa di posizione di maggior spessore. Nei giorni scorsi la Segreteria di Stato della Santa Sede ha infatti pubblicato i documenti diplomatici relativi all’operato di Papa Pio XII durante la Shoah. Secondo Johan Ickx, direttore dell’archivio, i fascicoli confermeranno agli storici l’azione del Pontefice a sostegno degli ebrei perseguitati dal nazismo. La reazione fredda e critica del rabbino capo Riccardo Di Segni non si è tuttavia fatta attendere: “È molto sospetto questo sensazionalismo, con i fascicoli già pronti e le conclusioni facili proposte sul vassoio. Basta poco per rendersi conto che le scarse rivelazioni si riveleranno un boomerang per gli apologeti a ogni costo. Si vede chiaramente che non ci fu volontà di fermare il treno del 16 ottobre 1943 e che gli aiuti furono ben mirati a tutela dei battezzati”.