Ma le Sardine dove sono finite? Anzi: sono mai cominciate, al di là di qualche flash-mob mediaticamente carino? Perfino un sondaggio commissionato a Ixè da “Carta Bianca” – condotto su Raitre dalla figlia dell’ex segretario del Pci – l’altra sera le ha ignorate. È lecito pensare che la sinistra più esperta e intelligente abbia voluto evitare un doppio autogol: una rilevazione impietosa per un movimento che pretende di attirare “un italiano su quattro” contro l’Uomo Forte della Lega; e – peggio – un ulteriore sfoltimento dei già magri “cespugli” di maggioranza, para-maggioranza od opposizione al centrodestra. Nell’ordine, per Ixè: Italia Viva (3,6%), La Sinistra (3,3%), +Europa (2,5%), Europa Verde (1,5%), Azione (Carlo Calenda, 1,3%).
Nulla, comunque, consente al momento di smentire la stima di Alessandra Ghisleri, per la quale le Sardine varrebbero non più del 4% sul mercato elettorale. Oppure l’indicazione di tendenza data da Renato Mannheimer, per cui Mattia Santori e i suoi adepti nuoterebbero solo nelle acque del centrosinistra, senza la minima incisività sull’elettorato della Lega (e forse neppure in quello M5s, ormai apparentemente normalizzato nella sua dimensione assistenzial-meridionalista).
Ma le Sardine non sono latitanti soltanto nei polls. Lo sono anche in tutte le piazze che non siano quelle dove convocano i loro rave esclusivi e autogratificanti: classicamente all’ora dell’happy hour o nel weekend. Nessuna “sardina” è mai uscita dal Mar Ionio per solidarizzare con i dipendenti dell’Ilva di Taranto. Ma neppure i vicini risparmiatori colpiti dal crac della Popolare di Bari sono stati degnati neppure di un tweet. Per non parlare della Coca Cola, che ieri ha annunciato il blocco delle assunzioni e degli investimenti in Italia come ritorsione per la sugar tax. Troppo fuori mano e poco cool lo stabilimento Coca Cola di Marcianise (Caserta) per il “responsabile comunicazione e sostenibilità” di Rie, la società di consulenza dell’ex ministro Alberto Clò? La manovra della sugar tax è stata pur sempre approvata da un governo “amico”.
Cosa frena le Sardine dal dimostrare di non essere uno dei tanti fenomeni da baraccone prodotti negli ultimi mesi a ritmo serrato dall’angosciata resistenza anti-salviniana? Cosa le distingue dalla Capitana Carola di turno, al di là degli inviti puntuali al salotto Rai di Fabio Fazio, a spese del contribuente? Forse mettere le mani nel “sangue e melma” dell’Ilva disturberebbe il governo Conte 2? Forse è stato qualche Deng Xiaoping del centrosinistra nostrano a consigliare i suoi “giovani italiani” di guardare dall’altra parte a Bari? Forse la “trasparenza economica e comunicativa” invocata dalla Terza Pretesa delle Sardine diventa politicamente scorretta quando c’è di mezzo la Banca d’Italia? Forse un risparmiatore che ha perso centinaia di migliaia di euro nell’ennesimo dissesto bancario italiano tende a lasciarsi andare al “linguaggio dell’odio”? Forse i ventenni di Hong Kong sono un “mirabile esempio” solo fino a quando la pelle per le loro idee la mettono in gioco loro – per davvero, contro l’Esercito del Popolo – a 9.272 chilometri da Piazza San Giovanni?
Alle sedicenti Sardine forse sarebbe bastato guardare bene in tivù il clasico spagnolo fra Barcellona e Real Madrid dell’altra sera. Le Sardine catalane non hanno avuto paura di rovinare “una grande serata di calcio” per ricordare all’Europa – non solo a quella della Champions League – che Barcellona non è solo la città del Camp Nou, dell’Erasmus o delle Ramblas, ma anche il calderone di un’emergenza democratica tuttora viva a quarant’anni dalla morte del franchismo fascista. Tanto che ieri la Corte di Giustizia Ue ha ordinato la scarcerazione di Oriol Junqueras, ex presidente della Generalitat catalana, condannato a 13 anni dopo il referendum del 2017, ma democraticamente eletto lo scorso maggio a Strasburgo.
A proposito: non risulta che il presidente dell’Europarlamento sia intervenuto sul “caso Junqueras” prima di ieri e comunque al di là di una presa d’atto istituzionale della pronuncia dei magistrati Ue. Per cinque mesi, che un membro dell’europarlamento fosse in carcere – per motivi sostanzialmente politici – nella Spagna del premier socialista Pedro Sanchez non era evidentemente un problema. Troppo simili – questi catalani separatisti – agli autonomisti del Nord Italia?