Ficca il naso, se senti olezzo. Non ti tappare, indaga: il rischio della povertà, in Europa, colpisce in misura rilevante anche chi ha un impiego lavorativo, con l’Italia nel numero dei Paesi più colpiti dal fenomeno. Secondo i dati pubblicati il 31 gennaio da Eurostat, un lavoratore europeo su dieci è a rischio povertà: un dato, cresciuto nell’ultimo decennio, dall’8,6% del 2008 al 9,5%. Rispetto alla media europea il rischio di cadere in povertà, pur avendo un lavoro, in Italia è aumentato tre volte di più rispetto alla media europea: l’incremento è stato di 3,3 punti percentuali. Il Bel Paese risulta, quindi, il quarto Paese più colpito da questo fenomeno con il 12,2% dei lavoratori a rischio.



Rischio povertà più elevato per lavoratori part-time. Se si restringe l’osservazione alle tipologie contrattuali, nota Eurostat, il rischio di povertà tende a raddoppiare nel caso dei lavori a tempo parziale: nella media europea tale rischio passa dal 7,8% dei lavoratori a tempo pieno al 15,7%. Il discorso peggiora ulteriormente nel caso dei lavori a tempo determinato: rispetto ai contratti stabili il rischio di povertà risulta del 16,2% contro il 6,1%.



Dunque, al solito, si può adire al destino cinico e baro; si può pure considerare immorale la faccenda, ma senza riuscire a spostare di una virgola la questione. Vabbè, puoi provare a metterci una pezza con il debito.

Condizioni di offerta estremamente appetibili, tassi di interesse ai minimi spingono verso l’alto le richieste di finanziamento da parte delle famiglie italiane: nel 2019, secondo ultimo aggiornamento del Barometro del Credito alle Famiglie, viene fuori una crescita del 6,7% rispetto al 2018; l’incremento è stato del 4,7% relativamente alla componente dei prestiti personali e dell’8,5% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi.



Cavolo, la pezza non basta al poco lavoro e mal pagato se, nell’ultimo anno, il 32,5% degli italiani ha rinunciato a effettuare controlli medici e di prevenzione e il 27,3% ha tagliato sulle spese dentistiche. Tra le rinunce nell’ultimo anno, al primo posto l’acquisto di una nuova auto (51,4%), il 44,2% invece ha rimandato lavori di ristrutturazione nella propria abitazione, il 38,2% ha rinunciato a sostituire arredi di casa ed elettrodomestici logorati, il 28,5% ha fatto a meno delle riparazioni del proprio autoveicolo e il 34,5% delle spese per un/una badante.

L’Istat, che ha orecchie tese e sguardo aguzzo, ha indicato in -0,3% t/t il Pil del quarto trimestre 2019; il calo congiunturale più marcato dal lontano 2013. Stagnazione! Si, cos’altro sennò, quel vacillìo se i medici non medicano, le auto dal concessionario arrugginiscono, l’abitazione si degrada, la lavatrice non lava e l’automobile non ce la fa ad andare così come lo sbadato nonno?

Dunque mettendo in ordine i fatti, anzi i misfatti, vien fuori il fattaccio: lo sconquasso della produttività totale dei fattori. Beh fattorini, più che fattori, fin quando faranno resistenza a far entrare nell’esclusivo club di quella produttività: il fattore consumo.

La crescita si fa con la spesa, non con il fare d’impresa, il  lavoro e la produzione; a spesa fatta i produttori dovranno ri-produrre, chi non lavora lavorare, gli altri ri-lavorare. Verrà generata ricchezza da allocare. Già, nel ri-allocarla chi vorrà correre il rischio di veder i consumatori, ri-vacillare?