La storia per la prima volta ci mette davanti ad un contesto di assoluta asimmetria, senza precedenti, tra ricchezza e Stati.
Nei secoli passati ogni entità politica – stato, impero, dominio, regno – era caratterizzato da una corrispondenza tra ricchezza prodotta nel territorio di riferimento e legata alle attività svolte nel territorio, e ricchezza risultante dai processi di accumulazione e distribuzione della ricchezza svolti nel tempo. La ricchezza prodotta veniva poi variamente concentrata o distribuita a seconda dei modelli sociali che regolavano la vita associativa delle comunità dell’uomo. I commerci internazionali si sono sempre intensificati, ma la ricchezza rimaneva comunque all’interno del singolo Paese fonte di aggregazione e di sviluppo per favorire il senso di comunità e di appartenenza.
Il processo di globalizzazione avviato alla fine del secolo scorso ed il modello di economia liberista e capitalista assunto come verità incontrovertibile ai fini del miglioramento delle società hanno stravolto gli antichi equilibri fra singolo Stato e ricchezza prodotta, dissociandoli tra loro.
L’evoluzione del modello che ha come scopo ultimo la massimizzazione del risultato del singolo ha trovato dopo la caduta del muro di Berlino nello strumento finanziario il mezzo più utile dell’economia reale alla realizzazione dello scopo; così l’economia da solida è diventata liquida, la finanza ha assunto un ruolo parassitario dell’economia reale ed ha portato ad una concentrazione di ricchezza senza pari nella storia dell’uomo.
La strumentazione finanziaria, la sua legittimazione accademica, la deregolamentazione degli scambi, il mancato controllo delle operazioni finanziarie con adeguate regole fiscali – la delocalizzazione non regolamentata fiscalmente consente di lasciare per strada con più passaggi gran parte del reddito imponibile (cfr. Google, Apple, Ryan Air, etc.) – hanno favorito sistematicamente l’elusione fiscale e la concentrazione dei flussi di ricchezza nei luoghi più favorevoli alla loro moltiplicazione lontano dai Paesi di riferimento.
Così abbiamo una ricchezza che non risponde più ai Paesi e Paesi che rimangono senza ricchezza. La ricchezza sovranazionale così concentrata rappresenta una sorta di “senato” virtuale che condiziona il libero mercato e la libera concorrenza, cioè l’esatto contrario di ciò che quel modello culturale di economia liberista voleva fare. Un liberismo nato per superare gli assolutismi del secolo scorso diventato esso stesso un assolutismo.
Tale ricchezza, in questo modo, risponde solo all’illimitato aumento di se stessa, ma quando un tale potere non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un rispetto profondo della persona significa distruzione del senso sociale e dei valori fondanti di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.
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