In margine alla Giornata dell’Esercito – cui ha presenziato il Premier Giorgia Meloni -, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha affermato che l’Italia continuerà ad aiutare l’Ucraina nella guerra contro la Russia, ma esclude di poter inviare truppe. La posizione è parsa chiara, coerente con gli impegni assunti da Fdi prima del voto 2022 e poi dalla maggioranza di centrodestra al Governo. Una posizione politicamente significativa – a un mese dal voto europeo – sia sul fronte diplomatico che su quello interno.



Fdi, in misura specifica, ha riportato 19 mesi fa una netta affermazione elettorale anche per l’essersi proposto come unico partito privo di esitazioni sullo schieramento del Paese nel conflitto fra Kiev e Mosca, iniziato pochi mesi prima. A una nuova scadenza elettorale il punto è ribadito, anzitutto nella fedeltà alla linea della Nato, guidata dagli Usa dell’Amministrazione Biden. Ma Crosetto ha voluto certamente rimarcare in tempo reale anche la distanza dalla fuga in avanti della Francia di Emmanuel Macron, pronto all’escalation diretta sul fronte ucraino, e dall’ondivaga Germania “rossoverde”.



Il gioco di sponda su Macron sembra rilevante anche nel leggere i riflessi domestici del dossier ucraino. La radicalizzazione guerrafondaia dell’Eliseo (alla vigilia del viaggio a Parigi del leader cinese Xi) rispecchia la costante debolezza del Presidente nel suo Paese. Sembra mirare alla polarizzazione del voto francese alle europee, nel tentativo di ricompattare l’intero centro moderato (non tutto macroniano) in contrapposizione alle estreme (Marine Le Pen, sempre in odore di putinismo, e France Insoumise, pacifista-antagonista). Se Macron appare ormai l’opposto della “forza tranquilla” scelta come mantra da molti suoi predecessori Oltralpe, nel realismo del Governo Meloni sembra emergere invece la ricerca di sintonia con un elettorato vasto: in Italia certamente stanco e preoccupato per la “Terza guerra mondiale a pezzi”, anche se non disposto a cedimenti al ribasso dell’Occidente verso il Cremlino.



“Non manderemo truppe in Ucraina” può così tradursi in un segnale non disprezzabile anche per settori politici fuori dalla maggioranza. A un euro-candidato “dem” come il cattolico Marco Tarquinio – araldo del cessate il fuoco subito in Ucraina, caro alla Santa Sede e alla Cei – cosa può risultare meno indigesto: il paletto esplicito posto dal Governo all’escalation oppure l’incessante litigio interno ai “dem”, nel silenzio sempre opaco della leader?

A cinque settimane dal voto, Elly Schlein non ha neppure chiarito se e come intende confrontarsi in tv con la Premier. Nel frattempo sembra aver già perso il round ucraino, mentre sta perdendo anche quello gemello sulla doppia crisi di Gaza (in Medio Oriente e nelle università italiane). Anche nell’ultimo caso – attorno al convegno promosso da associazioni italo-israeliane alla Statale di Milano e cancellato dal rettore per rischi di ordine pubblico – contesto e dinamiche sono stati abbastanza evidenti.

La “par condicio” rispetto un evento filopalestinese tenutosi in marzo alla Statale con la partecipazione di Moni Ovadia (israelita dissidente) e Francesca Albanese (la politologa consulente dell’Onu iper-critica di Israele nei Territori) si sarebbe probabilmente potuta realizzare: ma al prezzo necessario di un ferreo presidio delle forze dell’ordine nell’ateneo contro prevedibili incidenti provocati da studenti anti-israeliani. Far svolgere “democraticamente” il seminario avrebbe cioè richiesto lo stesso approccio della pubblica sicurezza in occasione dei “manganelli di Pisa” ormai due mesi fa . Ma è stato allora che il Quirinale (dove siede un presidente “dem”) ha contrapposto una linea di rispetto fermo della libertà di contestazione, anche sul versante antisionista. Nel concreto dell’appuntamento di Milano il Viminale ha dunque dovuto limitarsi a un warning: che i vertici della Statale hanno comunque subito fatto proprio, optando senza esitazioni per la sospensione del programma.

Nei fatti è stato difficile non vedervi un cedimento agli studenti filo-palestinesi e uno schiaffo alla comunità ebraica della città in cui vive la senatrice a vita Liliana Segre. L’esatto contrario, comunque, di quanto avvenuto a New York, dove la rettrice della Columbia ha chiamato la polizia e il Sindaco (dem) ha fatto sgombrare il campus da centinaia di “cop” in tenuta antisommoss, per proteggere l’incolumità di studenti e docenti ebraici e porre fine al “disordini” lamentati anche dal Presidente Biden.

In Italia è rimasto nel frattempo senza risposta – per l’ennesima volta – un interrogativo: il Pd di Schlein “da che parte sta”? Quale posizione ha la Segretaria-capolista dei “dem” italiani per Strasburgo – una sorta di Premier ombra – sulla guerra fra Israele e Hamas e sulle proteste universitarie in tutto l’Occidente?

P.S.: Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è da ieri a New York, dove oggi parlerà all’Onu su “Pace, giustizia e istituzioni forti”. L’agenda iniziale prevedeva anche una visita alla Columbia, che però è stata cancellata. Una scelta evidentemente forzata dagli ultimi sviluppi sul piano della sicurezza (occupazioni e scontri su Gaza sono ancora in corso in molte università americane). La decisione non appare d’altronde politicamente neutra. Mattarella, alla fine, ha preferito non visitare un campus di prestigiosa tradizione “dem”, però appena “normalizzato” dalla polizia, con centinaia di studenti arrestati e altre centinaia di docenti in rivolta a difesa della libertà di parola, scienza e insegnamento.

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