Nel 2009, 13 anni fa, il compianto Gerardo Mazziotti – architetto, scrittore, polemista scomparso di recente – volle fortemente volle scrivere un lungo testo (pubblicato da Denaro Libri) sulla vicenda più assurda complessa e travagliata della storia recente napoletana e cioè sull’includente riqualificazione dell’area occidentale della città resa orfana già 18 anni prima della sua prestigiosa presenza industriale: l’Italsider.



Al volume che ne venne fuori fu significativamente posto il titolo di “Bagnolineide, odissea di una trasformazione urbana”. Erano i tempi di Rosa Russo Iervolino sindaco e di Antonio Bassolino presidente della Regione. Ad angustiare specialmente l’autore dello scritto era la faccenda della colmata a mare che alcuni politici e professionisti avrebbero volentieri lasciato lì dov’è ancora mentre si sarebbe dovuta rimuovere e sversare altrove.



Facendo i conti, sono più di trent’anni che si parla di bonifica e rilancio di uno dei luoghi più belli e suggestivi del mondo, scelto nel 1994 su spinta di Francesco Saverio Nitti per dotare l’antica capitale del Regno – come sempre a corto di posti di lavoro qualificati – di un presidio manifatturiero in grado di sollevare il livello economico della popolazione. Tra alti e bassi la produzione consente di impiegare fino a diecimila caschi gialli.

Nel 1991, dopo dolorosi tira e molla tra chi voleva salvaguardarne l’esistenza e chi ne voleva la chiusura, l’impianto smette ogni attività per essere smantellato e venduto a pezzi all’estero. Si disse che la fabbrica era in perdita e che non c’era più bisogno del suo acciaio anche se molti dubbi s’addensarono su questa affermazione e qualcuno più tardi riuscì a dimostrare che non era vero. Lo stabilimento napoletano fu suicidato.



Gli ambientalisti gioirono perché in effetti quel complesso di altoforni inquinava e aveva tolto alla cittadinanza la fruizione di mare e spiaggia. Il luogo si prestava a ben altri insediamenti (ah, il benaltrismo…) e infatti si ipotizzò di farne un paradiso per il turismo, le imprese ecologiche, i servizi avanzati. Senza dimenticare ampie macchie di verde utili anche a riequilibrare il rapporto tra cemento e alberi troppo favorevole al primo.

Come si sa, tutte queste promesse non sono state mantenute. Nei tre decenni successivi all’agonia dell’Italsider si sono susseguite amministrazioni pubbliche, idee, proposte, inchieste giudiziarie e fantasie che hanno lasciato i luoghi nella condizione pietosa che si può ammirare. La stessa condizione che nel 2003 consigliò al comitato organizzatore di scegliere le acque di Valencia come teatro della Coppa America di vela.

Insomma, così tante le occasioni sprecate in un territorio benedetto dal Signore da far dubitare delle capacità di tutti coloro che nel tempo si sono cimentati con il compito di sanare la ferita urbana inferta con l’asportazione dell’insediamento siderurgico. E l’Odissea descritta da Mazziotti nella convinzione che si fosse alle ultime battute e che si potesse finalmente trarre una conclusione, seppure amara, continua ancora oggi.

La storia del Mezzogiorno è la storia di Bagnoli, cioè delle eterne incompiute. Quando ci sono le soluzioni mancano i soldi e quando ci sono i soldi mancano i progetti. Quando ci sono soldi e progetti mancano gli strumenti di legge. E quando sembra esserci tutto spunta un veto. E quando anche il veto appare superato interviene la magistratura a gamba tesa. E il tempo passa indifferente spargendo illusioni e regalando delusioni.

Non ci si può meravigliare che un campo di coltura come questo sia l’ambiente ideale per far prosperare la criminalità, sempre più diffusa e meno organizzata, e incentivare l’opportunismo. Compreso quello delle centinaia di migliaia di persone che si aggrappano al Reddito di cittadinanza anche se non ne avrebbero diritto. La fiducia nell’assegno facile è più forte di quella che si fonda su prospettive di sviluppo che restano sospese.

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