La pubblicazione di un nuovo libro – Ferdinando Ventriglia e le politiche di sviluppo del Mezzogiorno negli anni Sessanta, Iod Edizioni – riapre uno dei casi più scabrosi tra i tanti che si contano a cavallo della politica e dell’informazione in Italia: il fallimento del Banco di Napoli e la sua ingloriosa fine dopo oltre mezzo millennio di attività al servizio della comunità meridionale.
L’autore, Renato Raffaele Amoroso, tratteggia la carriera e il carattere del potente banchiere restituendogli molto del prestigio che i suoi detrattori hanno tentato di sottrargli forse preoccupati di acquistare meriti per questa via nei confronti di chi si apprestava a prenderne il posto: un sistema d’interessi pronto ad accomodarsi dopo la disfatta della Dc e della Prima Repubblica.
I fatti risalgono non a caso ai primi anni Novanta: a cavallo del 1994, per la precisione, anno della morte del Professore che per vent’anni, prima alla presidenza dell’Isveimer e poi alla direzione del Banco, aveva governato il credito e molto di più in un Sud ancora dominato dall’intervento pubblico ma dove cominciavano ad affacciarsi i primi campioni dell’impresa privata.
Il lavoro svolto da Ventriglia – professionale e culturale allo stesso tempo – è stato fondamentale nel cercare di dotare la parte più povera del Paese di un proprio motore economico che potesse assecondare una crescita bisognosa di strumenti funzionanti e di persone capaci di utilizzarli al meglio. Profondo conoscitore della macchina che guidava, era più temuto che amato.
In una società che si avviava a celebrare la vittoria della mediocrità – un’epoca apertasi con la Seconda Repubblica e che ha toccato il suo momento più felice con l’esecutivo giallo-verde – un uomo così preparato e convinto della sua missione era un ostacolo al cambiamento. Che naturalmente c’è stato con tutte le conseguenze negative che oggi si possono osservare e commentare.
Quello del Banco di Napoli fu un delitto ben organizzato e propiziato dalla scomparsa prematura dell’unica persona che avrebbe potuto impedirlo. Sullo sfondo, un quadro politico che premiava una nascente Lega Nord e una genia di tecnici che avrebbe tenuto per molto tempo le redini del Paese spacciando per interessi nazionali quelli di una casta sempre più invadente.
È bastato classificare come sofferenze tutti i crediti difficili o presunti tali per trasformare un’azienda che primeggiava in Italia per volumi amministrati e numero di clienti in un peso morto da togliere dal mercato e offrire in pasto per quattro lire a chi si voleva beneficiare. Salvo accorgersi poi che i crediti erano buoni e recuperare tutto il dovuto con profitto.
Dopo quasi trent’anni dai fatti che privarono il Mezzogiorno dei suoi pochi ma efficaci centri decisionali – con la scomparsa progressiva di banche locali, finanziarie e grandi gruppi industriali – oggi possiamo forse parlarne senza il timore di essere considerati reduci attribuendo merito al merito e scorno allo scorno. I tempi sono maturi per un’operazione verità.
Le voci che si levarono all’epoca in difesa dell’Istituzione creditizia per eccellenza furono davvero poche. E questo aiutò i benpensanti del periodo a smantellare d’improvviso l’intera impalcatura dell’Intervento Straordinario infliggendo un colpo mortale a chi quell’Intervento andava sostenendo con anticipazioni di cassa che ne consentivano l’opportuno svolgimento.
Due leali e intelligenti dirigenti del tempo – Carmine Cioppa e Federico D’Aniello – stanno ciascuno per proprio conto tentando di ricostruire gli avvenimenti che segnarono una svolta così repentina e funesta per le sorti del Sud. A sostegno delle loro tesi sono in possesso di memoria e materiali che stanno mettendo a disposizione di un’opinione pubblica che si mantiene pigra.
Al di là del successo o meno che avrà questo (sacrosanto) processo di riabilitazione di una figura che andrebbe degnamente ricordata con il suo operato, vale la pena di cogliere l’insegnamento che ne viene: mai farsi fiancheggiatori di chi promette la luna togliendoti la terra da sotto i piedi. Le debolezze di oggi le ripaghi al quadrato domani. Quando è troppo tardi per rimediare.
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