O sole mio è una delle canzoni italiane/napoletane più famose al mondo, ma non di meno lo è funiculì funiculà che fu scritta dal giornalista Peppino Turco e fu musicata da Luigi Denza nel lontano 1880. Gli autori trassero ispirazione dall’inaugurazione della prima funicolare del Vesuvio avvenuta nello stesso anno. La canzone ha assolto a una funzione fondamentale per il tempo. In assenza dei social e dei media come li conosciamo oggi, ha avvicinato i turisti e gli stessi napoletani al nuovo mezzo di trasporto che consentiva di salire senza fatica sul cono del Vesuvio e di godere di un panorama mozzafiato. La canzone era ispirata a un fatto vero.



Cosa analoga non può dirsi per una canzone nata nello stesso periodo (1885), altrettanto famosa, che racconta della finestrella di Marechiaro. La leggenda narra che l’autore, Salvatore Di Giacomo, prima di scrivere i versi della canzone, non fosse mai stato a Marechiaro. La canzone, infatti, pare venne scritta stando seduto in un caffè “immaginando” che a Marechiaro ci dovesse essere una finestra. Dopo alcuni anni Salvatore Di Giacomo andò a Marechiaro e si accorse che in effetti c’era davvero una finestra adornata da un vaso di garofani rossi, per cui l’immaginazione si riunì alla realtà.



Ebbene, a distanza di oltre un secolo e mezzo Marechiaro ha ancora la sua finestrella mentre i turisti non hanno più la funicolare (la canzone fortunatamente rimane). A parti invertite, dunque, l’immaginata finestrella (r)esiste, mentre è lecito dubitare che la funicolare sia mai esistita o vien da chiedersi perché non ci sia più.

L’originaria funicolare fu più volte distrutta dalle eruzioni del Vesuvio e fu sostituita nel 1953 dalla seggiovia andata poi in disuso. Nel 1988 l’architetto Nicola Pagliara riuscì ad aggiudicarsi la gara per progettare una nuova funicolare. Avviati i lavori, gli stessi furono interrotti e a oggi la funicolare resta soltanto un progetto e le opere iniziate, mai concluse, sono lì a testimoniare il fallimento conseguito.



Il progetto fu bloccato da un ricorso proposto da movimenti ambientalisti guidati dal Wwf che riuscirono a far sequestrare il cantiere. La motivazione del ricorso fu essenzialmente che la progettata stazione superiore ricadeva nel territorio di Torre del Greco, mentre a rilasciare tutte le autorizzazioni era stato il comune di Ercolano. I Giudizi successivi hanno dimostrato che nella realtà i confini furono modificati autonomamente dal comune di Torre del Greco, senza che il Comune di Ercolano li avesse mai riconosciuti. Solo nel 2000 il Consiglio di Stato riconobbe la correttezza dell’iter amministrativo iniziale, ma nel frattempo il danno si era prodotto.

Questa storia, simile a tante altre, ha visto le imprese conseguire i loro risarcimenti miliardari, i binari nel frattempo acquistati montati presso la funicolare di Montesanto a Napoli e la stazione superiore, solo da montare, deposta a marcire in un deposito di Avellino. Stessa sorte è toccata alle due vetture (una color crema, l’altra amarena).

Chi riuscì a fermare il grande progetto della funicolare vesuviana, rivelatosi perfettamente legittimo, sapeva di assumersi una grave responsabilità e di bloccare la crescita dell’area. Grazie all’impianto, il turismo avrebbe sicuramente avuto una grande svolta, così come l’economia locale.

Il Sud è ricco di questi episodi. L’aver di recente aggiunto “unica” all’acronimo Zes non porterà ad alcun sviluppo senza regole e procedimenti amministrativi semplici. A oggi mancano regole per cui siano penalizzato coloro che, per mero calcolo personale, molto spesso smentito dai procedimenti giudiziari promossi, contrastano progetti capaci di promuovere sviluppo.

Oggi è stato riproposto il progetto che vuole realizzare la funicolare, ma altrettanto si parla da circa 25 anni di realizzare, sempre ad Ercolano, un museo che ospiti i reperti archeologici ritrovati negli scavi. Il progetto del museo è ambizioso solo perché si vuole realizzarlo in un edificio da costruire ex novo. Basterebbe far comprendere che basterebbe utilizzare uno dei tanti contenitori (parliamo di ville vesuviane facenti parte del famoso miglio d’oro risalente al periodo del Grand Tour) esistenti al di fuori del perimetro degli scavi perché si realizzi un catalizzatore di sviluppo che allungherebbe il tempo di fruizione della città da parte dei turisti. Oggi, infatti, complici scelte sbagliate in tema di parcheggi, arrivano agli scavi e poi se ne vanno senza vivere la città.

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