Una nuova indagine giudiziaria si abbatte sul territorio martoriato della provincia di Napoli. Questa volta si tratta del Rione Terra di Pozzuoli per la riqualificazione del quale la procura del capoluogo – pubblici ministeri Stefano Capuano e Immacolata Pica – ravvisa i reati di corruzione e turbativa d’asta in capo a diversi amministratori, tra i quali spicca il sindaco Vincenzo Figliolia.



Nel mirino dei procuratori finisce anche un pezzo grosso del Pd, Nicola Oddati, componente della direzione nazionale del partito e dirigente della Regione Campania, sospettato di traffico d’influenze e altro con l’obiettivo di voler avvantaggiare nei lavori di restauro il suo amico imprenditore Salvatore Musella. Negli atti si parla anche di passaggio di denaro e regali sotto forma di abiti.



La piccola bomba deflagra alla vigilia delle elezioni locali (si voterà il 12 giugno) alle quali Figliolia non potrà partecipare perché ha completato i due mandati e nel pieno delle manifestazioni a Procida, separata da Pozzuoli da un braccio di mare, come Capitale della Cultura. Bassa interferenza sul voto, dunque, ma tanto cattivo rumore per una località che si stava riscattando dal degrado.

Tutti quelli che hanno apprezzato nel tempo l’opera di risanamento urbanistico e ambientale della cittadina portuale si augurano che anche questa inchiesta si concluda in un nulla di fatto. I diretti interessati giurano naturalmente che la gara d’appalto alla base dei lavori affidati e realizzati sia stata concepita e gestita nella piena legittimità. E invitano l’accusa a giungere il prima possibile alle conclusioni.



A differenza di casi simili accaduti nel passato anche recente, gli organi di stampa trattano la vicenda con molta cautela. Il caso non è deflagrato come poteva attendersi (forse non ancora) e non si notano anticipi di colpevolezza nelle cronache. Al contrario, la vicenda è stata finora gestita con articoli composti e, insomma, nessuno ha gettato preventivamente la croce sugli indagati.

Segno di maturazione della categoria e forse, ancora di più, di una calante fiducia nella capacità degli inquirenti di cogliere nel segno. Lo svolgimento dell’inchiesta ci dirà come stanno le cose: se le accuse sono fondate su prove inoppugnabili o se il castello delle ipotesi sarà destinato a crollare per effetto del pronunciamento di una magistratura giudicante troppe volte chiamata a correggere gli errori.

L’opinione pubblica è reduce dalla scottatura del caso Bagnoli il cui rilancio produttivo e turistico è stato tenuto per quindici anni a bagnomaria per via del sospetto che la bonifica richiesta non fosse stata mai effettuata, del conseguente sequestro dei suoli, del disfacimento delle opere nel frattempo realizzate, del processo che ha tenuto col fiato sospeso tutti gli amministratori della società di trasformazione.

Poi la pronuncia della Corte d’Appello che ribalta il giudizio di primo grado e le tesi degli inquirenti: “il fatto non sussiste”. I lavori sono stati eseguiti secondo la regola, non c’è stato il disastro ambientale denunciato e sanzionato, consiglieri e dirigenti non sono ceffi da galera ma galantuomini che hanno compiuto il loro dovere. Nessuna scusa per i danni arrecati e i patimenti inflitti.

La conseguenza è che un’area tra le più belle e suggestive al mondo, dove un tempo sorgeva l’acciaieria dell’Italsider, è rimasta bloccata nel suo mancato sviluppo e si è ulteriormente degradata mentre poteva e doveva diventare il motore della ripresa economica dell’intera regione grazie a un progetto di rigenerazione urbana non perfetto ma perlomeno capace di creare reddito e occupazione.

A parte le carriere troncate, le reputazioni amputate e i profitti mancati – ci sarà chi pagherà per questo? – un’intera generazione di napoletani è stata privata di una delle migliori risorse di cui disponeva. 

Accadrà a Pozzuoli la stessa cosa? Ci vorranno lustri per venire capo della vicenda? Altre vite spezzate per imperizia o superficialità? È presto per dirlo. Ma i precedenti fanno tremare.

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