La fiducia è una cosa seria. E, parafrasando una vecchia pubblicità, si dà alle cose (e alle persone) serie. Il Patto per Napoli firmato nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal sindaco Gaetano Manfredi si tiene tutto sulla fiducia. Fiducia che gli impegni assunti e firmati nero su bianco siano rispettati.
Da parte del Governo, che deve girare al capoluogo campano 1 miliardo e 321 milioni di euro in vent’anni, e da parte del Municipio che deve trovare i fondi per cofinanziare l’intervento aggiungendo un quarto della cifra trasferita attraverso il miglioramento della riscossione, una buona gestione del patrimonio e il rilancio delle partecipate.
Prometto di essere più buono, si scriveva un tempo (forse anche adesso, chissà) nelle letterine di Natale. Ma il proposito durava il tempo delle feste e poi tutto come prima. Tanto nessuno sarebbe venuto a chiederci conto, se non per celia, del nostro pronunciamento. Altro anno, altro giro. E così via allegramente.
Questa volta sembra che non possa andare così. E che i benefici ottenuti sulla carta dalla città simbolo del Mezzogiorno debbano essere per davvero meritati. Che non ci saranno pagamenti a piè di lista ma erogazioni accordate sulla base dei risultati ottenuti secondo i tempi e i modi dettati dall’accordo sottoscritto.
Si tratta di una grande novità perché rompe il circolo vizioso al quale ci stavamo abituando (brutta cosa l’assuefazione) secondo cui la parola data vale il tempo della stretta di mano che l’accompagna. Mentre già nella mente degli attori si va formando l’idea di come forzare l’accordo a proprio vantaggio e a svantaggio del contraente.
La slealtà post contrattuale – come si definisce questo tipo di atteggiamento – è diventata col tempo la regola. Dico una cosa ma ne penso un’altra. E se riesco nell’intento di fregare il mio interlocutore, ebbene, sono bravo e mi attendo di ricevere gli applausi. Com’è furbo Tizio che ha messo nel sacco Caio.
Non serve scomodare Bauman per accorgersi che la società, in questo modo, diventa davvero liquida e forse gassosa. Tutto scorre e tutto svapora sfuggendo a ogni controllo. Gli esempi si sprecano – molti vicini nel tempo e nello spazio – e spiace constatare che troppo spesso riguardano pezzi importanti delle cosiddette élite.
L’esempio è una molla potente. Forse la più potente di tutte. Il buon esempio plasma società migliori, assistite da un’etica pubblica che le fa prosperare. Il cattivo esempio sprofonda le comunità nel pozzo della miseria che alimenta la cattiveria. Cattiva e misera si è ridotta a essere la nostra bella città una volta del sole e del sorriso.
Condizione che potrebbe recuperare anche per effetto del rinnovato interesse di un colosso come Cassa depositi e prestiti che martedì 5 aprile comincerà proprio da Napoli il suo viaggio attraverso l’Italia con un bagaglio di progetti prodotti e servizi fortemente mirato al potenziamento di imprese infrastrutture e istituzioni.
I fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e le risorse europee che insisteranno sui prossimi 6/7 anni rappresentano un’ulteriore dote per il Mezzogiorno e la sua capitale da troppo tempo presa a simbolo di inefficienza e spreco se non di cialtroneria grazie ai buoni uffici dell’uscente sindaco con la bandana.
Se si unissero i punti con un tratto fermo potrebbe venir fuori un disegno rassicurante. Il problema è che a farlo dovranno essere i napoletani sulle cui capacità individuali non si discute, ma che a gioco collettivo e buona volontà lasciano molto a desiderare. Vale sempre il monito tradotto nel motto “Aiutati che Dio ti aiuta”.
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