Cresce il divario tra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno… Il monito del direttore dell’Istituto Tagliacarne, Nino Esposito, ha l’inevitabile suono del già sentito. Non dovrebbe meravigliare nessuno. Eppure, fa un effetto strano. Già, dov’eravamo rimasti con questa storia della distanza tra le due economie del Paese che più si tenta di colmare più si fa grande?
Siamo al punto che la ricchezza pro capite al Sud è una frazione sempre minore della media nazionale e che, ricorda sempre Esposito, il tasso di disoccupazione è del 40-45 per cento più basso con punte insopportabili tra i giovani e le donne. Come se esistessero due entità diverse e non due parti dello stesso Stato. I problemi rilevati e studiati dal Dopoguerra si ripresentano sempre uguali.
Anzi, peggiorati nonostante la mole di risorse impegnate e forse anche per quella diretta più a fare debito cattivo che buono e comunque bisogna tenere a mente che i soldi dell’intervento straordinario sono andati a colmare i buchi di quello ordinario… e insomma siamo al punto di partenza. Tanto che il direttore del centro studi che fa capo a Unioncamere parla di Trappola del sottosviluppo.
Si finisce nella tagliola quando non si riesce più a crescere. E non si cresce perché avviliti da una bassa densità industriale, una scarsa produttività, uno stagnante mercato del lavoro. Benvenuti nel regno dei Neet (di coloro che non hanno un’occupazione, non studiano e non si formano), dell’economia informale che fa da calmiere, delle famiglie che si caricano i figli sulle spalle.
Possibile che siamo ancora a questo? Possibile, anzi certo. I più bravi e dinamici se ne vanno verso lidi più attrattivi, gli altri vivacchiano tra impieghi mal pagati, lavoretti e Reddito di cittadinanza. Troppo semplice? Può darsi. Ma come sintesi giornalistica ci sta. Non mancano le solite eccezioni, ma il quadro generale è quello che è, con l’immancabile corollario della criminalità.
Tutto questo mentre “minacciano” di piombare sul campo oltre 200 miliardi tra fondi europei e finanziamenti legati al Piano di ripresa e resilienza, che per il 40 per cento dovranno essere destinati proprio a sollevare le sorti di un Meridione che rischia di farsi trovare impreparato. È vero, lo abbiamo già detto. Ma non per questo l’allarme è meno preoccupante.
La ministra per il Sud, Mara Carfagna, si sta battendo con onore per evitare i soliti scippi e fare in modo che le risorse stanziate non vengano distratte in favore di chi è meglio organizzato. Il suo è un impegno politico importante. Necessario ma non sufficiente, però, perché è sul territorio che dovranno maturare le occasioni per trasformare le disponibilità in investimenti.
La vecchia Casmez, alla quale si fa spesso riferimento come monito a far bene, disponeva di una squadra di tecnici di alto profilo capace di rimediare alla pochezza delle abilità locali. Aveva in pancia una tecnostruttura, cosiddetta, di primo livello e selezionata per raggiungere gli obiettivi fissati con poca interferenza della politica e molta fiducia nella comunità.
Ripristinare quelle condizioni sarà la cosa più difficile da fare. Anche perché all’arretramento delle competenze è corrisposto nel frattempo l’avanzamento dell’aspetto deteriore della burocrazia. Quello che tutto ostacola per insipienza culturale, protagonismo deteriore, paura della firma per il pericolo d’incappare nelle maglie di una magistratura malata. Chi non fa non sbaglia.
Ma non possiamo arrenderci neanche di fronte all’evidenza. Nascondere lo stato dei fatti non è possibile. Ma non è possibile nemmeno procedere con una narrativa sganciata dalla realtà. Riporre nello straordinario intervento un potere salvifico che da solo non ha. Come ricostruire l’impianto che porta al successo è il tema da svolgere presto e bene.
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