Trent’anni fa, il 10 dicembre del 1994, moriva Ferdinando Ventriglia. Forse è stato un bene perché non ha assistito alla sorte riservata al “suo” Banco di Napoli, forse quella sorte sarebbe stata diversa con lui ancora vivo e oggi staremmo parlando di altro. Comunque, un male incurabile decise che era giunto il momento di spegnere la sua luce e una grande ombra cadde sul Mezzogiorno.



Erano gli anni dell’avanzata leghista e della Questione Settentrionale che prendeva il posto di quella Meridionale che era venuta così in antipatia al Paese per l’inconcludente e lungo corso che furono in pochi a sollevare il dubbio che si stesse compiendo un grande errore che avremmo pagato a caro prezzo. Cosa che puntualmente avvenne. Il danno era fatto e non era rimediabile.



I giovani non conoscono questo banchiere a tutto tondo che per undici anni ha governato una delle più prestigiose istituzioni creditizie del Paese – una volta battente moneta e in gara con il Monte dei Paschi di Siena per il titolo di banca più antica d’Italia -, perché sul suo nome è caduto l’oblio che si riserva ai vinti. Solo che a perdere è stato l’intero sistema che il Banco sosteneva.

Orfano di una delle sue maggiori e migliori personalità, il Sud è stato a lungo abbandonato al suo destino di area depressa diventando vassallo degli istituti del Nord per qualsiasi tipo di finanziamento alle famiglie e alle imprese. È stato detto che questa è stata una conseguenza naturale del fallimento della gloriosa azienda napoletana, ma la verità è che quell’azienda fu fatta fallire ad arte.



Il colpo più duro fu inferto da una politica messa in scacco dalle procure per il fenomeno conosciuto come “mani pulite”, un generale stato d’accusa dei partiti allora dominanti – tutti e soprattutto Dc e Psi – con la sola esclusione del Comunista che di quel trambusto pensava di avvantaggiarsi salvo poi doversi ricredere per la repentina e discesa in campo dell’outsider Silvio Berlusconi.

Comunque sia, gettando il classico bambino assieme all’acqua sporca si decise di troncare da un giorno all’altro l’esperienza dell’Intervento Straordinario e della Cassa che lo alimentava mettendo in seria difficoltà decina di migliaia di imprese che si videro negare i finanziamenti già disposti dallo Stato e dal Banco anticipati per agevolare i relativi investimenti.

Oggi per merito di alcuni bravi studiosi c’è stato un recupero della dignità e dell’importanza dell’impalcatura immaginata e realizzata nel Dopoguerra per sostenere la crescita del Mezzogiorno con l’obiettivo di colmare il divario economico con il Nord. Ma allora non ci fu nulla da fare. Incalzati e impauriti dagli eventi, anche persone di buon senso persero lucidità e orientamento.

Non Ventriglia che nei due anni che gli restavano da vivere dopo l’affossamento dell’Intervento Straordinario, avvenuto nel 1992, cercò in tutti i modi di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul misfatto in opera e sulle conseguenze che avrebbe avuto sull’intera comunità meridionale. Il desiderio di accreditarsi presso i nuovi potenti impedì ai dignitari locali di seguirlo.

La storia confesserà a chi verrà dopo di noi se tutto questo fu il frutto di un disegno criminoso – e ce ne sarebbero gli estremi – o solo un rovinoso capitombolo dovuto a una serie di inciampi disposti dal caso. Fatto sta che in quegli anni avvennero cose difficilmente spiegabili con l’uso della sola ragione. Uno scippo così macroscopico non si era mai visto e furono davvero in pochi a gridare “al ladro”.

Indietro non si può tornare. Si può forse imparare dagli errori commessi e tra questi la cinica scelta di gettare la croce sull’unica persona che avrebbe potuto evitare il disastro approfittando della circostanza che non avrebbe potuto difendersi per morte sopravvenuta. È giunto il momento di riabilitarne la figura e restituirgli l’onore che senza alcun dubbio merita.

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