Sull’ennesima puntata della questione-migranti – ora “al tempo del Covid” – in una democrazia come l’Italia rimane fino a prova contraria ciascuno mantiene il diritto a una propria opinione di merito. I poteri esecutivi spettano al Governo in carica, che li usa – si assume – sempre con la fiducia e sotto il controllo maggioritario del Parlamento. Talora – è stato il caso dell’autorizzazione a procedere contro l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini – interviene la magistratura: si presuppone sempre nel rispetto rigoroso dei compiti assegnati dalla Costituzione.
Come e più che in altri passaggi riemerge tuttavia con forza il tema del rapporto fra l’Italia e l’Ue. Spicca anzitutto – ed è una prima annotazione – il suo totale oscuramento nel dibattito politico-mediatico. Non si legge o ascolta nessuno, in questi giorni in Italia, chiedersi “dove sia l’Europa” allorché i flussi migratori dal Nord Africa sono ripresi impetuosi: più che dalla Libia in preda alla guerra civile, soprattutto da parte di “profughi economici” dalla Tunisia, incalzati dalla recessione post-Covid.
Può darsi che la domanda non venga posta perché la risposta è implicita: l’Europa “ha già dato”. Cioè: la predisposizione del Mes a fini di emergenza sanitaria (che il governo Conte per ora rifiuta) e soprattutto gli aiuti “Recovery” decisi dal Consiglio Ue di metà luglio concretizzano per intero la “solidarietà europea” verso l’Italia. Quindi: sul fronte migratorio è destinata a continuare di fatto la “logica di Dublino”. E più che la lettera degli accordi sottoscritti nel 2013 anche dall’Italia, sembra contare sempre la loro interpretazione autentica: data molto a posteriori – ma mai smentita – da Emma Bonino, che li firmò per Roma in qualità di ministro degli Esteri del governo Letta.
“Matteo Renzi ha barattato i soccorsi in cambio della flessibilità sui conti”, ha detto due anni fa Bonino in un’intervista al Fatto Quotidiano.”Nel 2014-2016, durante il governo Renzi, si decise che il coordinatore fosse a Roma, alla Guardia Costiera e che gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia. Lo abbiamo chiesto noi, l’accordo, l’abbiamo fatto noi, violando di fatto Dublino”. Sta avvenendo così anche ora? Anche nel pieno dell’emergenza Covid? Forse proprio per questo?
Colpisce, comunque, che il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, abbia rapidamente cancellato dal suo personale track record il vertice di Malta del settembre 2019: quando i suoi colleghi di Francia e Germania, oltre al commissario Ue all’immigrazione, assunsero con lei l’impegno formale di ricostruire una politica europea di accoglienza dall’Africa. Il summit ebbe un inequivocabile sapore politico: si propose come suggello al “ribaltone” di governo in Italia, fortemente favorito dall’Europa perché estrometteva la Lega e Salvini. Cioè un leader politico che aveva messo in mora l’Ue sulla questione migratoria e su questo aveva ottenuto un clamoroso successo elettorale al voto europeo del maggio 2019.
Un anno dopo la pandemia ha sconvolto tutto anche in Europa: salvo la regola che i migranti dall’Africa in Europa sbarcano solo in Italia e lì restano. A maggior ragione se i profughi portano con sé un rischio-Covid che ogni Governo nazionale e ogni istituzione sovranazionale si mostrano impegnati allo spasimo per contenere e spegnere: diversamente dai soli Paesi tacciati di “negazionismo”, come il Brasile di Bolsonaro oppure gli stessi Usa di Donald Trump. Forse è anche per questo che al largo di Lampedusa si sono perse le tracce della “capitana Carola”. Di questi tempi uno sbarco-assalto di una nave Ong olandese a comando tedesco in un porto italiano sarebbe dannoso a un governo Conte divenuto subalterno in Europa; e sarebbe decisamente troppo per l’opinione pubblica dei Paesi del Nord Europa, tutt’altro che risparmiati dal Covid. Ma c’è probabilmente dell’altro.
Quando l’epidemia aveva già annunciato il suo sbarco in Europa, la nuova commissione Ue – guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen – aveva dato un segnale strategico fortissimo sul fronte migratorio: aveva appoggiato il muro eretto dal Governo greco al confine (esterno europeo) con la Turchia per fermare la pressione di un’ondata di profughi siriani sospinta dal “democrate” di Ankara, Reccyp Erdogan. Von der Leyen volò personalmente sugli spalti del muro (assieme ai presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e dell’europarlamento, il dem italiano David Sassoli) per portare il totale appoggio europeo alla “resistenza” del premier greco Kyriakos Mitsotakis. Che aveva dato ordine militarmente ai tentativi di ingresso dei migranti (in quattro morirono).
Pochi giorni dopo, comunque, Erdogan fu ricevuto a Bruxelles da Michel e von der Leyen: e ottenne le sblocco immediato di nuove risorse per cassa nel piano da 6 miliardi originariamente negoziato fra Turchia ed Europa per trattenere fuori dall’Ue le ondate siriane (in Germania il boom delle destre xenofobe è iniziato dopo l’ingresso di un milione di profughi di Damasco, oggetto di una controversa decisione dal cancelliere Angela Merkel nel 2015, dettata in parte dagli interessi dell’industria tedesca).
Se vale questo format (i protagonisti sono gli stessi) è evidente quale ruolo sta assegnando l’Ue all’Italia: quello di un Paese esterno come la Turchia, non quello di un Paese-membro come la Grecia. Che le frontiere esterne dell’Europa – viste da Bruxelles – si fermino alle Alpi lo si è già visto quando l’Austria ha schierato i panzer al Brennero; oppure quando i poliziotti francesi hanno ricacciato militarmente i profughi a Ventimiglia o Bardonecchia. Dopo la tempesta Covid anche gli accordi di Schengen sono diventati “a libertà vigilata”. Sono comprensibili, a ogni buon conto, le ragioni che inducono Conte a “”far da sé” (al massimo a scrivere al premier tunisino lettere che Merkel o Macron non concepirebbero neppure). L’Europa “solidale”, del resto “ha già dato”. A Conte personalmente – non diversamente che a Erdogan personalmente – perché faccia quello che deve: nell’interesse dell’Europa, s’intende.