Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dato per scontata l’apertura di una procedura d’infrazione Ue contro l’Italia per debito eccessivo. Tecnicamente appare impossibile obiettargli: il rapporto debito/Pil italiano a fine 2023 – a quota 137,3% – resta nettamente fuori dai parametri Ue, appena ripristinati dopo tre anni di sospensione-Covid. È vero anche che, in termini dinamici fra i 27 dell’Unione, il debito italiano è in contrazione, mentre quello di un’altra big Ue come la Francia è in crescita. Ed è solo uno degli elementi di contesto – il più importante resta certamente una crisi geopolitica ogni giorno più grave – che sembra rendere meno scontata la riflessione politica sull’applicazione dei parametri di stabilità Ue. E non certo per caso Giorgetti ha citato il giro di boa delle elezioni europee, fra otto settimane.



Il titolare del Mef è certamente il primo a ricordare cosa avvenne al debito italiano a cavallo dell’ultimo euro-voto, nel 2019. Giorgetti era sottosegretario alla presidenza del Governo Conte 1. Il 26 maggio la Lega riportò in Italia una vittoria-valanga, doppiando al 34% il risultato delle politiche di un anno prima e invertendo i rapporti di forza con il partner di maggioranza M5s. Il primo soggetto a trarne le conseguenze (politiche) fu la Commissione Ue uscente, presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker.



Il 5 giugno Bruxelles aprì una procedura d’infrazione per debito eccessivo contro l’Italia: la firmò un altro “braccio secolare” della Germania merkeliana, il commissario lettone agli Affari economici Valdis Dombrovskis. Quest’ultimo è ancora al suo posto: promosso anzi cinque anni fa vicepresidente esecutivo di Ursula Von der Leyen, con la supervisione diretta del commissario nominale ai conti pubblici dell’Unione e dei suoi membri.

Questo è stato Paolo Gentiloni, ex premier Pd, spedito a Bruxelles dopo la rovente estate avviata con la procedura-debito all’Italia e culminata nel ribaltone italiano di agosto. Snodo ultimo delle grandi manovre estive fra Roma e l’Europa fu il Quirinale di Sergio Mattarella: lui pure ancora in carica e ultimamente molto attivo ai confini fra responsabilità istituzionali e iniziativa politica. Sul futuro di Gentiloni – in rientro a Roma dopo un quinquennio incolore a Bruxelles – ogni pronostico sembra intanto essere valido: dall’ascesa alla leadership Pd – in caso di “exit” di Elly Schlein verso Strasburgo – fino al ritorno a Palazzo Chigi alla testa di un ennesimo “governo del Presidente”. Dopo un ennesimo “ribaltone”, dopo un ennesimo “biscotto” europeo sul debito da parte di una Commissione in scadenza (magari battuta nelle urne com’era stata quella Juncker).



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