Caro Direttore, da osservatore interessato ho letto i resoconti della recente assemblea nazionale del Pd a Bologna. Nulla di nuovo sotto il sole, grandi applausi per i relatori che invitano il partito ad aggiornare la lettura dei fenomeni economici, sociali, e le conclusioni del Segretario Zingaretti che rilanciano l’armamentario delle vecchie proposte. Rivoluzione green e redistribuzione del reddito sono i pilastri consolidati su cui poggia il cambiamento evocato dal partito post renziano. Sul primo, da cittadino romano importato, suggerirei al Presidente della Regione Lazio di evocare meno rivoluzioni e di assumere qualche ragionevole decisione per contribuire a rendere la capitale più pulita. Sul secondo sorge spontanea una domanda: redistribuire cosa e a chi? Cari compagni della sinistra, risparmiateci la risposta scontata “da chi più ha a chi meno ha”. Fate uno sforzo di analisi per dimostrare la bontà dell’affermazione.
Redistribuire che cosa? L’Italia è il Paese, tra quelli sviluppati, che registra ancora un Prodotto interno lordo inferiore di quattro punti rispetto all’anno 2008 precedente la crisi economica. Con divari interni nella distribuzione del reddito, stimati con il famoso indice Gini, pressoché analoghi a quelli registrati all’inizio degli anni 2000. Il secondo indicatore è la conseguenza del primo, cioè la compressione generalizzata dei redditi, e non solo dei salari e delle pensioni (le rendite pensionistiche, tra l’altro, sono le uniche ad aver leggermente migliorato la propria condizione). Una tendenza non positiva, perché ha comportato per la fascia bassa della distribuzione del reddito un aumento delle persone e dei nuclei familiari in condizione di povertà assoluta. Tale evoluzione è figlia della mancata crescita economica e non, come sostenuto da buona parte della sinistra e dai 5 stelle, dalla diversa appropriazione del reddito prodotto. Infatti, nei Paesi sviluppati che hanno realizzato tassi di crescita più elevati, sono aumentati i divari nella distribuzione del reddito, ma non il numero delle persone in condizioni di povertà.
Tutto ciò premesso cosa concretamente si sta proponendo sotto il titolo “redistribuzione del reddito” tramite l’intervento pubblico? Come noto le entrate della Pubblica amministrazione, al netto dei contributi previdenziali e assicurativi, fanno leva su tre aggregati: l’imposizione sui redditi delle persone fisiche e delle imprese, l’Iva e le accise, e infine tutto il vasto aggregato di imposizioni sugli immobili, le cedolari secche su affitti, interessi, giochi d’ azzardo, bolli, tasse locali, imposte di registro e sulle transazioni immobiliari, ecc.
Tra tutte queste imposte solo la prima, quella sui redditi delle persone fisiche, che rappresenta meno di un terzo delle entrate fiscali, fornisce gli indicatori per valutare i redditi da sottoporre a imposta progressiva, essendo le imposte sui consumi, le rendite patrimoniali mobiliari e immobiliari, e le tasse di scopo, tassate con criteri univoci. Ma, come noto, è anche quella che fornisce gli indicatori di reddito che vengono falsati dall’evasione fiscale. Una sottovalutazione direttamente collegabile all’analoga evasione delle imposte sui consumi. Ebbene, nonostante queste evidenze, e nonostante lo sforzo fatto negli anni recenti per costruire degli indicatori più sofisticati per stimare i redditi e i patrimoni ai fini dell’accesso alle prestazioni pubbliche, le dichiarazioni Irpef sono quelle utilizzate per effettuare le cosiddette politiche redistributive, con effetti iniqui e persino perversi.
Il 60% di queste imposte viene infatti prelevato sui redditi del 12% delle persone fisiche che dichiarano più di 36.000 euro annui, con aliquote che per le fasce di reddito più elevate possono comportare anche un prelievo prossimo e superiore, come nel caso delle pensioni, alla metà degli introiti. Sono questi contribuenti a essere chiamati a compartecipare con contributi aggiuntivi al costo dei servizi erogati che loro stessi hanno finanziato, con tickets, tasse scolastiche e universitarie, addizionali locali, rette più elevate per gli asili nido e le scuole materne. Non bastasse tutto ciò, questi redditi vengono esclusi dall’erogazione dei bonus: salariali, bonus bebè e contributi per gli asili nido. Con l’attuale Legge di stabilità si introduce per i contribuenti di fascia alta il divieto di accesso alle detrazioni fiscali per le spese che hanno un impatto sociale, dopo averlo già introdotto per quelle dei carichi familiari.
Queste prassi, oltre che introdurre un’ulteriore tassazione progressiva surrettizia, in molti casi producono l’esito di assicurare ai beneficiari dei bonus redditi netti finali più elevati rispetto ai contribuenti appartenenti agli scaglioni di reddito immediatamente superiori che non ne beneficiano. Ne sanno qualcosa i lavoratori che hanno dovuto restituire il bonus di 80 euro mensili, introdotto dal governo Renzi, per aver superato la soglia dei 26.000 euro annuali per via di qualche aumento salariale o introiti di lavoro straordinario puntualmente denunciati. L’effetto pratico è il disincentivo a generare più reddito e, soprattutto, a non dichiarare reddito.
Una politica che trascura il fatto che buona parte dell’evasione degli ormai famosi 110 miliardi stimati dall’Agenzia delle entrate, si annida nel lavoro autonomo, nel doppio o triplo lavoro, nelle prestazioni in grigio o nel lavoro sommerso. Le famiglie sono le principali protagoniste della domanda e dell’offerta di queste prestazioni, per la finalità di generare, tramite l’evasione, un reddito supplettivo come risposta a esigenze legate alla sostenibilità delle prestazioni, pensiamo ad esempio ai fabbisogni per la cura degli anziani e dei non autosufficienti, o più semplicemente per mantenere un livello più elevato di consumi. Un mercato del lavoro fortemente popolato dagli immigrati, due terzi dei quali viene classificato dall’Istat in condizioni di povertà assoluta o relativa. Comunque non contribuenti attivi, nonostante le analisi sballate prodotte dai ricercatori vicini alla sinistra per dimostrare gli improbabili vantaggi economici prodotti dagli immigrati per l’erario (critica che rivolgo ai ricercatori, non certo agli immigrati che si sacrificano per assicurare prestazioni sottocosto agli imprenditori e alle famiglie italiane). Ebbene, le politiche redistributive all’italiana propagandate dalla sinistra, ignorano questa realtà per inseguire politiche di erogazione di prestazioni assistenziali fondate sull’ampliamento della spesa corrente e del debito, destinate in buona parte a folle di falsi indigenti.
Questa è una componente strutturale della distribuzione del reddito in Italia, stimata sul 20% del Pil, che si dovrebbe cercare di ridurre con una forte introduzione di detrazioni fiscali consistenti, soprattutto per l’acquisto dei servizi per le persone e per le abitazioni, finalizzate a generare un conflitto di interessi e una sostenibilità della spesa familiare nel mercato ufficiale. Cosa assai diversa dalle lotterie per gli scontrini, dalle riduzioni nell’uso del contante di comprovata inefficacia per i pagamenti di entità ridotta, o dai ridicoli bonus per chi usa le carte di credito.
Ma tutto questo richiede una rilettura delle dinamiche economiche e sociali che la sinistra non vuole fare. Perché preferisce descrivere una società perennemente rivolta a richiedere l’intervento dello Stato per risolvere i suoi problemi e i suoi bisogni. Adottando machiavelliche soluzioni burocratiche per orientare i comportamenti del cosiddetto popolo, e minacciando controlli di massa impraticabili. Non di rado assecondando l’invidia sociale e la deriva antindustrialista che rimane il connotato principale delle politiche ambientaliste evocate. Con il bel risultato di far arrabbiare l’universo mondo.
Una buona parte degli esponenti della sinistra italiana è convinta di avere le idee giuste, ma di essere vittima di una comunicazione sbagliata che fa leva sui limiti culturali del popolo italiano. Confesso di non aver una grande opinione sugli orientamenti politici del popolo italiano, ma sono altrettanto convinto che la sinistra italiana abbia offerto un bel contributo all’affermazione della deriva populista. E che continui a farlo.
La ringrazio per l’attenzione.