“La festa appena cominciata… è già finita…”: era il 1968, anno memorabile, e il triste e composto Sergio Endrigo vinceva un Festival di Sanremo inavvertito dei moti sociali giovanili che di lì a poche settimane avrebbero attraversato il mondo, e lo vinceva con questa melodia nostalgica e scettica, che celebrava la volubile caducità dell’innamoramento.
A quell’epoca il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non aveva ancora compiuto 4 anni, eppure sembra vederlo, nella luce azzurrina del teleschermo in bianco e nero, che contempla come rapito da quelle note, forse pregustando, o predolendosi, per quanto gli sarebbe occorso 52 anni più tardi. La festa dei suoi sostenitori è già finita. Tutti sono di nuovo contro di lui.
Eppure, soltanto lunedì sera, tutti ad esaltarlo. E il giovedì sera, già tutti immemori, ostili, torvi.
Ha ballato una sola estate, Conte. Tre giorni di gloria, poi anziché risorgere è ricrollato nel calvario dei veti incrociati, del fuoco amico, delle ingiurie contrapposte di due parenti serpenti.
Pd e Cinquestelle come i coniugi Bebawi: quella coppia egiziana che, proprio in quello stesso 1964 che stava dando i natali a Giuseppi, vennero arrestati con l’accusa di omicidio e passarono il processo, tra i più celebri della Dolce Vita, accusandosi vicendevolmente. Per la cronaca, la fecero franca.
I soldi del Recovery Fund – sempre lodato “piano Merkshall” con cui la Germania in sostanza restituirà ai partner europei qualche fettina del tanto lardo che si è mangiata negli ultimi trent’anni – arriveranno, sì (ed è il miracolo attribuibile a Conte) ma tra otto-dieci mesi. E nel frattempo?
Nel frattempo, senza batter ciglio, il governo ha dovuto approvare un nuovo scostamento di bilancio, da 25 miliardi, il terzo finora deciso quest’anno: significa collocare il deficit aggiuntivo da Covid-19 a quota 75 miliardi. Pd e Cinquestelle sono stati d’accordo, ed hanno sostanzialmente condiviso anche la proroga dello stato d’emergenza, che peraltro – l’abbiamo capito – sarà concluso non dall’evidenza ampiamente consolidata del declino della pandemia ma dall’avvento del vaccino, che sancirà con la forza delle molecole e dei dollari che la bestiaccia sarà stata domata.
Ma l’armonia tra i coniugi Bebawi del governo Conte, Pd e Cinquestelle, è finita qui. Perché i pentastellati, mediamente senza nemmeno sapere di cosa parlano, non possono aprire al Mes, seguiti in questo dal loro amatodiato Giuseppi; mentre il meccanismo di finanziamento emergenziale battezzato col bizzarro acronomico, piace ai piddini. Quindi: d’accordo a Bruxelles sul Recovery e nemici a Roma su Mes. Chiaro, no?
Il pretesto è stato il voto sull’emendamento presentato dalla Lega e dal gruppo Identità e democrazia alla risoluzione del Parlamento europeo sulle conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio: l’emendamento chiedeva di respingere un utilizzo del Mes finalizzato a stimolare l’economia in seguito alla crisi della Covid-19. A favore dell’emendamento, hanno votato Lega, FdI e M5s. I dem hanno votato contro insieme a Forza Italia. L’emendamento è stato bocciato. Quindi una doppia spaccatura: tra i due partiti principali della coalizione di governo, e tra due dei tre partiti dell’opposizione. Gongolerà il coronavirus, che ne sa una più del diavolo, contemplando gli effetti politici delle sue tossine.
Ma la domanda drammatica è: di questo passo, come arriverà, l’Italia, all’appuntamento con i fondi europei? O addirittura: ci arriveremo vivi?