Ben svegliato, Herr Scholz! La crisi tedesca, se lei continuerà a dimostrare tanta perspicacia, sicuramente diventerà, da gravissima che è, disastrosa…
Niente poteva essere più deprimente che il passaggio riservato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz a Elon Musk e ai social media nel corso del “tradizionale discorso di Capodanno” che, chissà per quale triste ragione, i capi di Stato e di governo dei Paesi occidentali (e perfino, ahi loro, di qualche Paese orientale) continuano a propinare ai loro popoli (che sempre di più tendono a battersene le scatole) alla fine dell’anno. Ebbene, Scholz ha fatto un paio di passaggi di quelli che da soli bastano a descrivere la siderale lontananza della cosiddetta classe dirigente europea dal filo dello sviluppo globale, e anche del suo inviluppo, dei suoi mali oscuri, e comunque… dal luogo e dal modo in cui accadono oggi le cose.
Rispondendo indirettamente a Musk – nel modo più fantozziano, ossia senza citarlo ma riferendosi chiaramente a lui – che qualche giorno fa aveva inneggiato al partito neonazista tedesco Alternative für Deutschland (AfD), Scholz ha balbettato (metaforicamente: ha usato il suo solito tono di voce che non fa sussultare un moscerino): “Saranno gli elettori tedeschi a decidere l’esito delle elezioni del 23 febbraio e non i ‘proprietari dei social media’”. Grazie al Kaiser, viene da rispondere. Peccato che oggi Musk – pazzoide finché vogliamo e nocivo peggio della peronospora della vite, ma icona di successo, per l’immaginario delle persone, non solo americane – è però comunque uno che conta, innanzitutto perché è stato un alleato essenziale del nuovo presidente americano Trump nella sua vincente campagna elettorale; poi perché è l’uomo più ricco del mondo; e poi perché è stato messo nella condizione, dalla politica americana corrotta che gli ha lasciato creare Starlink, di costruire dove vuole e quando vuole una propria rete di telecomunicazioni digitali potentissime, saltando a pie’ pari quelle pubbliche – vedi alla voce Ucraina – e naturalmente di “spegnerla” altrettanto quando vuole, come ha già minacciato di voler fare presto contro Zelensky. Ha poi aggiunto Scholz, in un ultimo commento degno di Dotto, il primo nano dei Sette (ogni allusione al G7 è casuale): “In generale, a volte nei dibattiti si ha l’impressione che più l’opinione è estrema, più attenzione riceve. Ma non è la persona che grida più forte a decidere come andranno le cose in Germania. È la grande maggioranza delle persone ragionevoli e rispettabili. Siete voi, i cittadini, a decidere cosa succederà in Germania”.
Vabbè, ragazzi: facciamo una colletta e paghiamogli qualche mese di cure termali a Sirmione oppure a Ischia, si sa che i tedeschi ci vanno pazzi, e in fondo quando sono in Italia fanno meno danni che altrove. S’è accorto adesso che i social media hanno polarizzato – e quindi vaporizzato – la democrazia?
E dunque, chiudendola qui con il sarcasmo: ci rendiamo conto qual è la classe dirigente con la quale l’Unione europea affronta questo 2025 cruciale? È quest’acqua qua, direbbe Bersani… Ma non fermiamoci alla Germania, siamo all’inizio dell’anno e serve sincerità al massimo grado. Sentiamo cos’ha detto Macron, il Presidente francese, l’altro campione europeo che dovrebbe ispirare, con Scholz, le grandi linee guida della politica unitaria: “Devo proprio riconoscere che lo scioglimento ha portato per il momento più divisioni all’Assemblée che soluzioni per i francesi – ha detto nel suo, di discorso alla nazione -. Se ho deciso di sciogliere l’Assemblée è stato per ridarvi la parola, per trovare chiarezza ed evitare l’immobilismo, ma la lucidità e l’umiltà impongono di riconoscere che in questo momento questa decisione ha prodotto più instabilità che serenità, e me ne assumo tutta la responsabilità”.
Se ne assume la responsabilità, ma non svita i bulloni che lo inchiavardano alla poltrona, povero mobile che – c’è da supporlo – se fosse senziente rabbrividirebbe ripensando alle ben diverse terga che resse, da quelle di de Gaulle a quelle del pur diversamente esecrabile Mitterrand…
E dunque questi due campioni, capi di due popoli – tedesco e francese – allo sbando di fronte all’imprevista evidenza di un declino multifattoriale acutissimo, devono fronteggiare la crisi dell’auto, crisi autolesionistica, crisi suicida, indotta dalla follia tedesca – avallata dalla sora Merkel, la statista più sopravvalutata della storia – e non sanno letteralmente come fare.
Non solo hanno lasciato campo libero alla tecnologia cinese, ormai non più “copiata” ma autoctona e terribilmente competitiva nel rapporto prezzo/qualità, al punto da reggere persino a dazi del 100%. Ma hanno anche puntato, per i loro ricavi, sulle vendite in Cina, che certo si ridurranno come rappresaglia ai dazi occidentali; e non si sono aperti mercati alternativi.
Nel frattempo, la risorsa scarsa del Vecchio continente, l’energia, resta appesa al nucleare francese – almeno quello i verdi non sono stati capaci di farlo smantellare – e al carbone inquinantissimo dei tedeschi, che hanno chiuso follemente le centrali nucleari per rabbonire i loro ambientalisti masochisti. La crisi energetica sta riesplodendo in questi giorni, con la nuova sospensione delle forniture russe di gas, che erano proseguite a dispetto delle sanzioni di facciata, imposte dal bellicismo dei produttori di armi americane ma prive di vera efficacia. Dunque, la crisi energetica si risolve in un gap di competitività negativa per tutta Europa. Eppure, il nuovo Parlamento di Strasburgo è stato capace – ma d’altronde, la colpa è stata di noi elettori – di approvare una Commissione comunque legata alle distopie ambientaliste post-gretiane che, senza aver sortito il benché minimo effetto positivo, hanno condotto a una legislazione inapplicabile sul fronte dell’auto, appunto, ma anche su quello immobiliare.
Un superesperto di automotive come Alfredo Altavilla, numero due di Marchionne in Fiat, dice che in tre anni l’industria europea è candidata a scomparire, lasciando spazio solo ai cinesi, ai coreani e due degli attuali tre gruppi americani; un politico esperto come Guido Guidesi ha scritto – nel suo ruolo di presidente della Commissione delle regioni europee dell’automotive – che se non viene fermato il regime delle multe sulle emissioni entrato in vigore ieri, le imprese europee chiuderanno…
E dall’altra parte dell’Oceano, nel frattempo, si prepara tra 18 giorni la presa di possesso ufficiale del potere da parte del nuovo presidente americano. Donald Trump ha già annunciato che come primo “ordine esecutivo” del suo mandato firmerà l’uscita degli Usa dagli accordi di Parigi sul clima, che è come dire mandarli formalmente a pallino, lasciando solo i verdi europei a sventolare la bandiera della decarbonizzazione veloce.
Ma non basta. Cos’altro ha detto chiaramente Trump? Ha chiesto sin d’ora agli Stati europei membri della Nato di innalzare al 5% del Pil le spese militari. Oggi sono in media tra l’1,5 e il 2%. Con il nuovo Patto di stabilità, copia sbiadita ma conforme rispetto a quello dettato da Schäuble – “l’Ironside” dei rigoristi dementi – non ce la può fare nessuno. Nessuno reggerebbe alla sfida dei conti pubblici, con un simile extracosto! E dunque se Trump volesse, avrebbe il pretesto per ritirare gli Usa dalla Nato! Effetto paradosso della gestione insensata fatta della guerra in Ucraina dall’ignobile asse Biden-Macron-Johnson.
In questo circo equestre di quart’ordine cui si è ridotta l’Europa, con la Commissione von der Leyen 2 afasica e i Paesi guida a lumicino come s’è riepilogato, l’Italia giganteggia: perché, si sa, quando mancano i cavalli corrono gli asini. Ma appunto: asini restano. E dunque l’Unione Europea inizia l’anno politico letteralmente al capolinea. Se e come riuscirà a ripartire è davvero soltanto “in mente dei”.
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