Non solo Recovery Fund, non solo Europa da aggiustare fra Paesi frugali e mediterranei. A nessuno è sfuggita, durante la conferenza stampa conclusiva del summit con Giuseppe Conte, una battuta ironica della cancelliera tedesca Angela Merkel: “Vorrei evitare la parola Autostrade, vedremo come andrà il Consiglio dei ministri di domani…”.



Una nota d’apprensione per il destino del gruppo Atlantia, nel quale il gigante assicurativo Allianz detiene il 7% di Autostrade per l’Italia? Oppure viceversa: una quasi-anticipazione sorniona su un possibile “soluzione tedesca” per lo scontro incandescente fra il premier italiano in versione pentastellata e la famiglia Benetton? Se fosse proprio Allianz ad assumere un ruolo forte in una nuova proprietà “de-Benettonizzata” di Atlantia e/o Aspi? Magari per alleggerire l’impegno finanziario per la Cdp e smorzarne l’impatto neo-statalistico. Per “europeizzare” il riassetto e – perché no – per rendere meno problematico il possibile impegno del fondo cinese dal nome inequivocabile (Silk Road), anch’esso azionista di minoranza di Aspi.



Gli interessi della “Deutschland G” e le tante emergenze dell’Azienda Italia privata, non solo di quella pubblica. Sono in molti a scommettere che quello di ieri a Meseberg sia stato molto più un bilaterale fra Germania e Italia che un incontro preparatorio al vertice di venerdì e sabato a Bruxelles. E che non sia più di tanto preoccupante il preannuncio di un Consiglio Ue non ancora decisivo sul Recovery Fund. Come un anno fa, è assai probabile che Conte si sia presentato a rapporto della vera Capitana tedesca per capire in che modo può assecondarne i “desiderata” del momento per favorire la sua permanenza a Palazzo Chigi.



Nell’estate del 2019 – poche ore dopo l’arrembaggio della “capitana Carola” a Matteo Salvini, allora vicepremier di Conte – aveva accusato una sostanziale sconfitta ai punti nel summit che rinnovò l’alto organigramma dell’Unione. La designazione della sua ministra Ursula von der Leyen a nuovo presidente della Commissione non era nei piani iniziali della cancelliera: che dovette perfino astenersi nel voto finale. La stessa chiamata di Christine Lagarde al vertice Bce era parso segnare un forte “momentum” appannaggio di Emmanuel Macron, nonostante la pressione interna dei gilet gialli.

Il premier italiano colse l’occasione per rendersi utile a se stesso essendolo a Merkel. La rottura dell’asse Lega–M5s in Italia e la nascita del “governo Orsola” invocato da Romano Prodi sarebbero stati impossibili senza la spinta e gli affidavit della Merkel sul futuro di Conte mentre a Strasburgo approdavano David Sassoli e Paolo Gentiloni come pegno per il Pd (in parte anche per il Quirinale). Abile, Conte, anche nello sfruttare i timori di M5s, arrivato da un anno appena nelle stanze del potere e spaventato dai rischi di elezioni anticipate. I voti M5s per von der Leyen all’europarlamento mercanteggiati dall’“avvocato del popolo” sono stati in quella fase più sostanziali del flirt con il presidente Usa Donald Trump: cui alla fine “Giuseppi” è stato forse meno utile del previsto nel “caso Milfsud”. 

“Angela”, comunque, un anno dopo è tornata forte: qualcuno si spinge addirittura a ipotizzare la clamorosa ricandidatura a un quinto mandato a Berlino nel 2021 (più ragionevolmente alla presidenza del Consiglio Ue per rifondare l’Unione). Sulla rielezione di “Donald” alla Casa Bianca, a novembre, sono invece sempre in meno a scommettere. Ad ogni buon conto, Conte ha pensato bene di andare a rapporto a Berlino: non per discutere su un centinaio di miliardi in più o in meno nel Recovery e forse neppure per una resistenza di facciata sul ricorso italiano al Mes (che alla fine cesserà).

No, il tema sembra lo stesso di un anno fa: come può essere utile Conte alle diverse partite aperte da Merkel? E quali contropartite personali può ricavarne un premier strutturalmente trasformista, mai eletto da nessuno, senz’alcuna tessera in tasca? (per esempio: come può favorire, l’avvocato Conte, il difficile sbarco di Mediaset in ProSiebenSat? Magari Silvio Berlusconi può concludere che un governicchio Conte 3 sia preferibile a un governissimo Draghi 1).