Abbiamo appena passato un altro Natale di guerra. E così saranno il Capodanno e i primi mesi del 2022. La variante Omicron ha portato i contagi a livelli mai registrati, anche se i vaccini sembrano bloccare le forme più gravi dell’infezione e, quindi, dell’affaticamento delle strutture sanitarie e della letalità. I Paesi più colpiti reagiscono in modo differenziato, anche perché, sotto alcuni aspetti, sono differenziate le forme che prende l’infezione.
Ci si sarebbe aspettati, però, un maggior coordinamento nell’ambito dell’Unione europea perché, a differenza di crisi precedenti (segnatamente quella finanziaria del 2008-2009), di fronte alle prime manifestazioni del Covid-19, l’Ue ha predisposto (e ha cominciato ad attuare) un’azione spedita concretizzatosi nell’acquisto in blocco dei vaccini e soprattutto nel Next Generation Eu (che contempla anche l’emissione di debito comune, un’innovazione di grande rilievo nelle strategie Ue). Ciò non è avvenuto di fronte a Omicron, anche a ragione del fatto che gli Stati membri dell’Ue sono stati presi quasi alla sprovvista quando pensavano che la pandemia avesse ridotto l’intensità e che le misure adottate avrebbero, con una serie d’incentivi e disincentivi, indotto i “no vax” a utilizzare anche loro l’unica arma disponibile (i vaccini) e così a ridurre progressivamente l’ambito potenziale di azione del virus.
Conosciamo in dettaglio la risposta dell’Italia quale articolata nell’ultimo decreto legge in materia: a) terza dose quattro mesi dopo la seconda; b) chiusura discoteche e veglioni in piazza; c) green pass rafforzato anche per consumazioni al banco; d) nuove restrizioni alle visite nelle Rsa; e) tracciamento nelle scuole; f) screening e controlli per chi rientra dall’estero; g) mascherine anche all’aperto, in trasporti locali e luoghi di spettacolo; h) riduzione da 9 a 6 messi nella validità del green pass. Un insieme di misure ben articolato e che ha una sua coerenza di “economia comportamentale”: indurre i non vaccinati (ancora 6,5 milioni) a correre negli “hub vaccinali”.
Se guardiamo alla misure adottate dagli altri Stati dell’Ue – anche senza entrare nel merito nelle differenti strategie – vediamo la più ampia differenziazione. Ad esempio, gli olandesi – in base agli ultimi provvedimenti – possono invitare solo due persone a cena a casa propria, mentre in Danimarca (dove le mascherine e altre restrizioni sociali erano stato abbandonate o quasi la scorsa estate quando il Covid-19 sembrava in ritirata), sono stati chiusi i cinema, i teatri, i bioparchi e anche luoghi di divertimento come il Tivoli di Copenhagen. A Parigi si lancia ancora una volta l’exception française (come il quotidiano Le Parisien ha intitolato il servizio sulle ultime misure): leggerissimo inasprimento delle restrizioni nell’aspettativa che i francesi correranno a farsi vaccinare. Vedremo se non ci saranno ripensamenti dopo che in Francia il giorno di Natale si è superata la soglia (anche psicologica dei 100.000 contagi quotidiani).
In Francia, dove, come altrove, le restrizioni non sono affatto popolari e ci sono ben sette milioni che non hanno ricevuto neanche la prima dose di vaccino, sulla strategia anti-Covid pesa come un macigno la campagna elettorale ormai alle porte (il primo turno è in programma il 10 aprile). Anche in Spagna, dove ci sono forti tensioni all’interno della coalizione di governo si è adottata una strategia attendista, nell’ipotesi che Omicron provochi contagi, ma infezioni sostanzialmente lievi tra i vaccinati e senza gravare eccessivamente sulle strutture sanitarie. Dure, invece, la misure adottate in Germania e Austria: prevedono anche coprifuoco serali.
In breve, la risposta a questa nuova ondata di Covid appare frammentata. In guerra la frammentazione indebolisce. Non si tratta, necessariamente, di includere la sanità tra le politiche di competenza Ue. Una buona strada è la Proposta di Regolamento del Consiglio relativo a un quadro di misure volte a garantire la fornitura di contromisure mediche di rilevanza per le crisi in caso di un’emergenza di sanità pubblica a livello dell’Unione. Nel novembre 2020 la Commissione ha avanzato proposte per costruire un’Unione europea della salute più forte, e sta ora istituendo all’interno dei suoi servizi una nuova Autorità dell’Ue per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA). Dalla pandemia è inoltre emersa non solo la presenza di troppe attività di ricerca frammentate in tutta l’Ue, ma anche la vulnerabilità nelle relative catene di approvvigionamento mondiali. In ultima analisi, tali limitazioni hanno comportato ritardi e inefficienze nella risposta, che hanno causato la perdita di vite umane e danneggiato l’economia. Per porre rimedio a tali lacune serve una preparazione migliore, ma sono necessari anche poteri, strumenti e azioni specifiche per le situazioni di emergenza transfrontaliera.
L’adozione del Regolamento potrebbe essere un primo utile passo verso una strategia più efficace per fronteggiare infezioni come quella da Covid-19.
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