Agli illustri democratici statisti che governano sulla nostra Europa in modo così politicamente corretto, va chiesto per quale demenziale ragione, con le elezioni alle porte, la maggioranza Ursula abbia deciso che il Patto di stabilità andasse riattivato – rinegoziandolo, pena l’inapplicabile riapplicazione del vecchio Patto! – da questa Commissione e da questo Parlamento. Persino nella sgangheratissima e ironizzata Italietta da varie legislature i Governi uscenti hanno avuto il buon gusto di lasciare le nomine pubbliche da fare a quelli entranti… e dunque?



Dunque, la maggioranza Ursula ha fatto l’ennesima pessima figura marrò. Nella notte tra venerdì e sabato 10 febbraio 2024 il “Trilogo” – è un organismo informale, ossia una cricca di amici-nemici che riunisce esponenti di Parlamento, Consiglio e Commissione, da non confondersi con il Triello, che è un gioco de L’Eredità! – ha deciso di vararlo. Pasticciato, compromissorio e incasinato com’era.



Cerchiamo di capire meglio. La Commissione, poveraccia, ha anche provato a migliorare ancora un po’ (non ci sarebbe voluto molto!) il testo che aveva sulla scrivania, ma quelli del Consiglio (cioè i rappresentanti dei 27 Governi) hanno detto niet. La Commissione provava a migliorare un po’ le deroghe all’austerità per gli investimenti sul digitale e sulla transizione green, ma non c’è stato niente da fare. Anche il Parlamento voleva far qualcosa, allungando oltre i 7 anni i termini per il rientro dal disavanzo eccessivo, ma anche su questo il Consiglio ha detto no. Il Consiglio, ossia la Germania.



Ora: stiamo calmi. Il nuovo Patto è un ibrido. Non è più severo come quello di prima, inattuabile ma almeno minaccioso. E non dà spazio vero ai sostegni per lo sviluppo. È figlio naturale di un compromesso al ribasso.

Con le prossime elezioni europee e un Parlamento che sicuramente modificherà almeno un po’ i suoi connotati politici, qualcosa accadrà: perché la Germania non ha più il potere di veto di sempre. Ha problemi interni enormi, sottorappresentati dai media per puro servaggio, ma enormi: anche politici. E dunque se poco poco a Strasburgo dovesse entrare qualcuno con un briciolo di coraggio, la filosofia dell’austerità potrebbe perdere molti altri punti.

E c’è di più. Dopo l’accordo di ieri, la palla del testo ufficiale del Patto torna agli uffici. Ora: avete presente come sono gli uffici europei? No, eh? Meglio per voi. Roba da far apprezzare, al confronto, il catasto di Castelvetrano, per citare a casaccio il paese natio di Matteo Messina Denaro. Quindi, l’articolato deve essere risistemato da questa gente, e sottoposto al voto finale formale di Strasburgo entro aprile perché poi l’assemblea blocca la sua operatività in vista delle elezioni, e dunque (come sarebbe sacrosanto) il Patto verrebbe sottoposto al nuovo Parlamento. Facile prevedere – e lecito augurarsi – che così sarà.

Ma cosa resta all’Europa da quest’ennesima pagina pasticciata?

Resta pochissimo. La fiammata di coesione del Covid è ormai super-archiviata. C’è disgregazione sulla difesa comune, vedi alla voce Houthi, con questa partenza incredibilmente lenta delle missione navale; c’è disgregazione sulla sostenibilità, con il via libera (peraltro sacrosanto) a quel nucleare sicuro che tre anni fa (non trenta!) aveva fatto inorridire gli estensori della famosa “tassonomia” e che si aggiunge alla lunga sfilza di autosmentite, confusione, irresolutezza; c’è disgregazione sull’auto elettrica, idolatrata troppo e finanziata poco, a tutto vantaggio dei cinesi; c’è disgregazione sui pesticidi, con l’imbarazzato contrordine sui pesticidi offerto come obolo alla protesta dei trattori.

L’ordinamento europeo mostra tutti i suoi enormi limiti e le leadership nazionali sono tutte di un’impressionante debolezza.

Questa è l’Europa che si affaccia alle sue decime elezioni dalle prime, celebrate nel 1979.

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