La produzione di molti comparti industriali europei, quelli “energivori”, non sta ripartendo, dopo il calo iniziato all’inizio del 2022, nonostante il prezzo del gas sia sceso ai minimi da quasi due anni. Ci riferiamo, tra gli altri, all’industria della chimica, a quella della carta, dei metalli e della lavorazione del legno; sono la base e il cuore dell’industria europea. Il prezzo del gas a un anno, che oggi viaggia a più del 75% sul prezzo “spot”, rimane quasi tre volte più alto dei prezzi che sino visti fino al 2020 e i prezzi dell’elettricità sono più o meno su questi livelli. Significa che il mercato non vede nel breve periodo uno scenario che ci riporti ai prezzi dell’energia cui eravamo abituati fino al 2021.
Le imprese europee si spingono più avanti. La ristrutturazione delle catene di fornitura in teoria dovrebbe portare a un rimpatrio delle produzioni; le catene si accorciano, perdono efficienza ma diventano più sicure in un mondo in cui le relazioni commerciali si complicano. Invece le imprese del Vecchio continente non solo non aprono nuova capacità ma la chiudono. Questo riflette valutazioni sulla competitività dell’Europa che eccedono i prossimi dodici mesi.
Caliamo queste valutazioni nella realtà prendendo spunto dal piano industriale presentato da Yara all’inizio di queste settimane. Yara, norvegese ma con una presenza globale, è una delle prime dieci società mondiali di fertilizzanti che sono un derivato del gas. La società spiega agli investitori che i costi di produzione dell’ammoniaca in Europa oggi sono quasi il doppio di quelli americani e nel 2035 saranno tre volte tanto. Questo significa, se non arrivano a tempo zero delle soluzioni, la fine progressiva dell’industria dei fertilizzanti in Europa e più in generale dell’industria chimica che sta alla base di una fetta preponderante dell’industria in quanto tale.
Non potrebbe essere che così perché il vantaggio competitivo dell’industria europea, l’accesso al gas economico russo, è perso a favore dei Paesi del sud-est asiatico e dell’India in particolare e quello che arriva dall’America non è altrettanto abbondante e deve viaggiare per non meno di 5.000 chilometri. Quello che abbiamo detto per l’industria chimica si può trasporre su tutta l’industria energivora, dalla produzione dei metalli fino a quella delle automobili.
Per ovviare al problema l’Europa dovrebbe assicurarsi gas economico da altre geografie, ma questa soluzione non è contemplata perché l’Europa ha deciso di puntare su una transizione energetica il cui costo è quantificato in migliaia di miliardi di euro, in una fase di debiti pubblici e di tassi di interesse in rialzo. L’Europa non ha accesso ai metalli e alle terre rare che servono alla transizione, ammettendo che funzioni, e una delle tecnologie su cui si punta sempre di più, il solare, è dominata dalla Cina con una quota di mercato superiore all’80%.
Supponiamo però, per un attimo, che solare ed eolico funzionino dimenticandoci di tutti i problemi che impongo sulla rete e di tutte le difficoltà derivanti dal fatto che non sono programmabili. Si potrebbe ovviare agli idrocarburi producendo idrogeno e ammoniaca “verde”, ma questo implica avere la disponibilità di una quantità di energia elettrica molto superiore a quella disponibile oggi. Da dove arriverebbe tutta questa energia e a che costi? L’unica risposta possibile, in un mondo senza idrocarburi, può essere solo il nucleare. La messa in produzione del nuovo reattore nucleare finlandese (Olkiluoto 3 che produce il 15% della domanda totale del Paese) ha fatto crollare i prezzi dell’elettricità. Se per magia l’Europa rinsavisse e puntasse sul nucleare, per la sua transizione, comunque servirebbe, per un programma serio, non meno di un decennio.
Quello che sappiamo con certezza è che, anche ammettendo che nel lungo termine solare ed eolico possano dare tutta l’elettricità che serve a un prezzo competitivo sui mercati globali (un’assunzione che si sta sgretolando), per la transizione non servono meno di due decenni. Basterebbe molto meno, cinque o dieci anni, in queste condizioni di competitività su gas e elettricità per assicurarsi la distruzione di una buona parte dell’industria europea. In un mondo, per di più, in cui materie prime e semilavorati girano molto di meno e costano molto di più anche dal punto di vista politico. Ci si chiede quale sia la risposta della Commissione europea e dei Governi europei ai dati presentati, per esempio, da Yara lunedì.
Per esclusione, probabilmente, il ritorno a uno stile di vita pre-industriale o, in alternativa, la tessera annonaria e le liste di prenotazione pluriennali per una nuova cucina per tutto il tempo necessario alla transizione. Di tutto questo il consumatore europeo non ha la più pallida idea ed è la cosa più preoccupante.
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