Un problema permanente per l’Italia è l’elevato rapporto tra debito pubblico e Pil, uno degli ostacoli maggiori anche nei nostri rapporti con l’Unione europea. In un suo recente articolo sul Sussidiario, Marco Pugliese cita l’esempio giapponese di un debito pubblico ancor più pesante di quello italiano, ma che non impedisce lo sviluppo economico del Paese. Tra i motivi segnalati da Pugliese vi è anche il fatto che per circa il 90% il debito è sottoscritto dai risparmiatori giapponesi, mentre per l’Italia la percentuale è del 30%, uguale a quella del debito detenuto da investitori stranieri. Situazione che non facilita una diminuzione dello spread sulle nostre emissioni, né d’altra parte può essere risolutivo il 40% del debito detenuto dal sistema bancario italiano.
Oltre il consistente debito pubblico vi è un altro elemento che collega la situazione giapponese a quella italiana: l’elevata capacità di risparmio. Proprio la consistenza del risparmio italiano può permettere una più ampia sottoscrizione dei cittadini italiani, con tutti i benefici che ne deriverebbero. Un tema già affrontato da chi scrive nel 2013 sul Sussidiario con conclusioni non diverse da quelle che trae ora Pugliese, anche perché la situazione non è di certo migliorata. In quel vecchio articolo segnalavo come il cosiddetto”rischio Paese” fosse ovviamente più determinante nelle valutazioni di un investitore estero rispetto a quelle di un cittadino del Paese emittente. Inoltre, anche se non si riuscisse a ridurre la spesa per gli interessi, la parte relativa agli investitori nazionali rimarrebbe nel Paese, incrementando la disponibilità per consumi interni e favorendo così la sua economia.
Risulta sorprendente che anche il Governo Draghi, esecutivo di unità nazionale, non abbia neppure accennato all’argomento. Ancor più sorprendente che, malgrado la riconosciuta autorevolezza di Draghi presso l’Ue, non abbia aperto un paio di discussioni sulla questione debito/Pil con Bruxelles.
Sempre nel citato articolo, Pugliese segnala la non più procrastinabile necessità di aumentare gli investimenti in infrastrutture strategiche, manchevoli da decenni. A tal proposito, Mario Draghi aveva parlato lo scorso anno di “debito buono” verso “debito cattivo” e non vi è dubbio che l’investimento in infrastrutture faccia parte del primo.
Sarebbe stato quindi logico e molto opportuno un passo presso l’Ue diretto a svincolare le spese in conto capitale da quel 3% di deficit imposto da Bruxelles. La maggiore quota di debito posseduta da cittadini italiani avrebbe potuto essere dedicata a questo tipo di investimenti, trasformandoli da impieghi puramente finanziari in investimenti in strutture reali ben definite, di cui gli investitori sarebbero stati beneficiari diretti o indiretti. Il che avrebbe potuto anche portare a un contenimento dei tassi di interesse, decisamente rilevante in un periodo di inflazione crescente.
A mio parere, vi è un ultimo aspetto che Draghi, utilizzando la sua autorevolezza, avrebbe dovuto portare all’attenzione di Bruxelles. Non vi è dubbio che il nostro debito pubblico sia fuori norma rispetto alla media europea, ma lo è anche il livello del nostro risparmio. Considerare solo il debito pubblico nella valutazione dello stato di salute dei singoli Paesi danneggia fortemente l’Italia. Se considerassimo anche il debito privato, l’Italia passerebbe al centro della classifica e diversi degli autoproclamati “virtuosi” salirebbero ai primi posti tra i Paesi a forte debito globale. Non è solo questione di classifica, è che la reale solidità di uno Stato è senza dubbio espressa meglio dal debito globale che non dal solo debito pubblico.
Non c’è quindi bisogno di essere anti-europei o sovranisti per pensare che l’attuale burocratica Unione europea sia molto simile alla orwelliana Fattoria degli animali. Detto questo, rimane una grande responsabilità sulle spalle degli italiani e di coloro da loro eletti a governarli, perché, anche limitandoci agli aspetti sottolineati nel presente articolo, l’iniziativa tocca al nostro Governo. Il ruolo oggettivo del nostro Paese nell’Ue dovrebbe dare ampia voce alle nostre richieste, se espresse con la dovuta autorevolezza. Spiace che chi questa autorevolezza aveva non si sia dato un gran che da fare e speriamo nei prossimi governanti. E che avessero ragione i nostri antenati latini proclamando “Spes ultima dea” e non i nostri connazionali napoletani con il loro “Chi ‘e speranze campa disperato more”.
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