Le ultime candidature ai vertici dell’Unione europea sono state ritenute da molti commentatori una sconfitta per i “sovranisti”, ma questo giudizio è valido solo se si accetta la definizione strumentale e mediatica del termine. In realtà, sia pure con diverse limitazioni, la battaglia delle nomine sembra ancora una volta vinta dal duo al  comando: Germania e Francia. Infatti, ha dichiarato Emmanuel Macron, il superamento del rifiuto di una decina di Stati ad approvare i candidati inizialmente proposti è solo merito dell’accordo tra lui e Angela Merkel.



Tuttavia, proprio Macron è stato uno degli artefici dell’accantonamento del metodo cosiddetto degli Spitzenkandidaten, sostenuto dalla Germania. Secondo questo sistema, i gruppi nel Parlamento europeo indicano propri “candidati di punta” alla presidenza della Commissione, tra i quali viene poi scelto dal Consiglio europeo, cioè dai governi, il candidato finale, che dovrà essere approvato dal Parlamento. Questa volta, sono stati bocciati di seguito i due candidati di punta, il socialdemocratico olandese Franz Timmermans e il bavarese cristiano-sociale Manfred Weber. E, dopo stressanti trattative, è stata proposta Ursula von der Leyen, ministro tedesco della Difesa.



La candidatura è stata inserita in un pacchetto di altre nomine, che appare come il tentativo di soddisfare in particolare il Pse, ferito dal veto a Timmermans. Ecco quindi l’anticipo della nomina dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il socialista Josep Borrell, ministro degli Esteri spagnolo. Borrell è noto per la sua scarsa diplomazia e per una serie di gaffe, malgrado il suo incarico, e la sua nomina ha già provocato critiche, soprattutto dagli indipendentisti catalani. Borrell è catalano, ma fortemente contrario all’indipendenza. Ci si può quindi aspettare un periodo più “caldo” rispetto a quello silenzioso della Mogherini. Il Pse ha poi ottenuto un altro “compenso” con l’elezione di David Sassoli a presidente del Parlamento, in sostituzione di Antonio Tajani, e Forza Italia si è astenuta nella votazione.



Malgrado questi tentativi di riappacificazione, molti parlamentari, anche nella componente socialista, sono sul piede di guerra. Come riporta Politico, molti non accettano l’eliminazione di fatto del sistema degli Spitzenkandidaten, che porta a dover approvare la nomina di un personaggio proposto all’ultimo momento, come la von der Leyen, senza poter essere discussi e valutati, come accaduto invece per Weber e Timmermans.

Critiche sono state poi fatte sulle caratteristiche non soddisfacenti dei candidati e ciò non riguarda solo Borrell, ma anche von der Leyen. Molto rilievo si è dato al fatto che per la prima volta vi è una donna a presiedere la Commissione, che si affianca alla nomina di Christine Lagarde alla Bce. Si è però fatto notare come non vi siano candidati dell’Europa orientale, forse messa in punizione per la sua rivolta.

In questo scenario e con un Parlamento più frammentato, è tutt’altro che certa l’approvazione della candidatura della von der Leyen, tanto più che nel febbraio 2018 era stata approvata una risoluzione per escludere la votazione di candidati non presentati prima delle elezioni europee. Si aprirebbe così un inaspettato e imprevisto conflitto istituzionale.

Per il momento, la partita sembra essere stata giocata al meglio da Emmanuel Macron, che ha favorito la candidatura della ministra tedesca, molto meno pericolosa per lui di personaggi come Weber o Timmermans. Questo è, per esempio, il parere del Financial Times, che evidenzia l’inserimento nel pacchetto, come presidente del Consiglio europeo, del belga Charles Michel, alleato di Macron. Che, in più, lo ha definito “francofono”, rendendo così certamente molto felici i “separati in casa” fiamminghi.

La ciliegina sulla torta è poi, come già detto, il passaggio di Christine Lagarde dal Fmi alla presidenza della Bce, in sostituzione di Mario Draghi. Così la Francia avrà avuto due presidenti sui quattro della Bce dalla sua fondazione.

Parrebbe invece piuttosto azzoppata Angela Merkel, per la quale Ursula von der Leyen sembra essere un premio di consolazione per la mancata nomina di Manfred Weber. Quest’ultimo pare averla presa male e ha rilasciato pesanti dichiarazioni sulla dubbia democraticità di queste procedure, accusando Macron di aver fatto comunella con l’ungherese Viktor Orban. C’è da aspettarsi che ciò non faciliterà i rapporti tra la bavarese Csu, di cui Weber è un leader, e la Cdu della Merkel.

Difficile, quindi, ricondurre il tutto all’antieuropeismo dei “sovranisti”: sembrerebbe, piuttosto, che stiano venendo al pettine i numerosi nodi di questa strumentale costruzione dell’Unione. Con conseguenze pesanti anche all’interno dei singoli Paesi.