I membri dell’Unione europea ieri hanno raggiunto un accordo per tagliare del 15% i consumi di gas su base volontaria e obbligatoriamente nel caso di un’emergenza, come l’interruzione delle forniture russe. L’obbligatorietà può essere derogata in caso di Paesi “particolarmente vulnerabili” o per quelli che sono parte integrante della rete. Dopo l’annuncio l’euro si è indebolito nei confronti del dollaro e il prezzo del gas europeo è salito ai massimi di sempre. 



L’annuncio dell’Unione europea, infatti, è la prova provata che senza il gas russo l’Europa deve autoimporre un razionamento e che non c’è abbastanza gas per tutti. Oltretutto, per il momento i Paesi sono liberi di tagliare o non tagliare i consumi, su base volontaria, e solo in caso di emergenza il taglio sarebbe obbligatorio. Nessuno sa quindi quali potrebbero essere le reazioni dei Paesi singoli quando arriverà l’emergenza; Grecia, Portogallo e Spagna, per esempio, hanno già dichiarato, per bocca dei proprio ministri di non essere disposte a penalizzare i propri Paesi in ottica di solidarietà europea. Forse le eccezioni all’accordo di ieri servono a permettere queste “defezioni” che sono significative. 



Il gas, oltretutto, non ha la stessa importanza per tutti. Per alcuni Stati membri è infinitamente più importante che per altri. Una riduzione del 15% in Francia, dove c’è tantissimo nucleare, non ha lo stesso impatto di una riduzione del 15% in Germania o in Italia. 

L’annuncio di ieri conferma che l’Europa non ha alternative al gas russo nel breve-medio periodo, che è più ricattabile dai Paesi del Mediterraneo e che dovrà affidarsi al mercato del gas liquido trasportato via mare su cui la competizione è estrema. L’andamento dei prezzi del gas tornati ai massimi e probabilmente diretti verso ulteriori rialzi conferma uno scenario preoccupante. Gli attuali prezzi non permettono la sopravvivenza di una larga parte dell’industria europea e impongono riduzioni della qualità della vita ai cittadini. La domanda di gas si ridurrà “automaticamente” semplicemente perché i cittadini e le imprese non si potranno permettere di pagare le bollette. Il prezzo del gas in Europa oggi è superiore di quasi dieci volte alla media degli ultimi dieci anni. 



Le tesi con cui si sono giustificate le sanzioni alla Russia vengono messe alla prova dalla realtà che via via si presenta. La Russia non è fallita, ha trovato sbocchi alternativi, continua la guerra e in compenso l’Europa deve affrontare sfide politiche e sociali che si fa fatica a inquadrare.

Si è aperto un abisso tra la vita dei cittadini europei che in queste settimane continua normalmente o quasi e la realtà di prezzi del gas che metteranno in crisi la sopravvivenza dell’industria e che generano spinte centrifughe in Europa. Ieri si è avuta la conferma che chi ha il gas in Europa non è disposto a condividerlo. La ragione è semplice: il costo politico interno di un razionamento ha conseguenze imponderabili.

L’abisso che c’è tra la percezione delle persone e la realtà del mercato dell’energia in Europa è una fonte di instabilità politica. È una distanza che non è stata affrontata perché la narrazione che ha accompagnato le sanzioni europee alla Russia è ancora viva nella testa dei cittadini. Le sanzioni erano, in teoria, lo strumento dell’Europa per mettere in crisi la Russia. Oggi, invece, i mercati e l’economia europei sono appesi alla saga dei flussi di gas dalla Russia. 

L’incentivo dei Governi a chiudere questa distanza trovando un capro espiatorio esterno è massima. Una recrudescenza della guerra ad agosto, per esempio, aiuterebbe i Governi europei a far digerire un boccone che è diventato molto indigesto. La situazione è talmente delicata che ci si chiede se anche questa volta ci sarà, come nel 2011, prima la tempesta economica e finanziaria e poi le proteste di piazza oppure se gli eventi saranno contemporanei piuttosto che invertiti. 

Per chiudere questa distanza i politici di diversi Paesi europei dovrebbero spiegare ai propri cittadini che sono tornati in un Paese in via di sviluppo con tanta inflazione e grandi difficoltà a reperire materie prime. Con tutto quello che questo significa per la qualità della vita e il welfare. La premessa è ammettere quali siano le conseguenze delle sanzioni; giuste o sbagliate che siano. Sono conseguenze molte volte superiori a un maglione di lana d’inverno. Se nessuno si prende la briga di spiegare quello che è successo ci penserà la realtà e a quel punto bisogna contenere la protesta e trovare qualche buona scusa. 

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