Non è alla fine troppo provinciale far partire dall’Italia qualche riflessione sulla clamorosa bocciatura di Sylvie Goulard – indicata dalla Francia nella nuova commissione Ue – al vaglio dell’europarlamento. La svolta politica estiva a Roma è infatti iniziata a maturare a Strasburgo, al primo e più importante voto di ratifica democratica sulle scelte effettuate dai capi di Stato e di governo per Bruxelles.
La nuova presidente designata Ursula von der Leyen, a fine giugno, superò l’esame parlamentare solo grazie al voto decisivo dei “cani sciolti” italiani di M5s. Se a Roma fu il segnale d’inizio per il “ribaltone” che ha espulso la Lega e reimbarcato il Pd nella maggioranza di governo, nelle cancellerie europee si è avuta la prima conferma della debolezza degli accordi sull’organigramma Ue raggiunti all’inizio dell’estate a Bruxelles. Tutti sono rimasti colpiti fin dal primo istante dalla soddisfazione esibita dal presidente francese Macron per una governance Ue “femminile e francofona”, che associava von der Leyen a Christine Lagarde, imposta da Parigi alla Bce. Due mesi dopo l’Eliseo ha incassato una sconfitta senza precedenti: 82 membri della commissione esaminatrice – il quadruplo dei 19 favorevoli – hanno infatti rispedito in patria Goluard, terza “donna francofona” su cui Macron avrebbe voluto contare in una nuova leadership francese dell’Europa.
Stavolta neppure un pugno di voti “comprati” con qualche promessa da qualche forza populista avrebbe salvato l’ex ministro della Difesa francese. Tradita non solo da un curriculum non a prova di bomba (il profilo etico dei politici francesi lo è raramente), ma anche dalle troppe linee di frattura – nazionali e politiche – in un’Europa ben diversa da quella “narrata”: nella quale il prototipo del “cattivo” era fino a qualche tempo fa il vicepremier italiano, Matteo Salvini.
Ieri a Strasburgo si è invece scoperto che un profilo teoricamente eccellente – quota rosa della prestigiosa Ena francese, sponsorizzata dal post-politico e liberaldemocratico En Marche! – è risultato in concreto indigesto a una vasta platea di eurodeputati: anzitutto tedeschi (i socialdemocratici sono stati fin dapprincipio freddi verso la stessa connazionale von der Leyen), in secondo luogo popolari e socialdemocratici di un po’ tutti i paesi Ue; non da ultimo: ai Verdi, forza (non populista) emergente all’ultimo voto europeo.
Non sono dunque bastati – anzi – il sesso femminile, il passaporto “euro-carolingio” e l’orientamento tecno-globalistico per garantire a Goulard il consenso dei rappresentanti democratici dell’elettorato europeo. Ed è un warning che difficilmente potrà essere ignorato dalla più importante “quota rosa” liberaldemocratica nella commissione von der Leyen: Margrethe Vestager, la poliziotta danese all’Antitrust promossa vicepresidente da Angela Merkel.
Ma neppure Lagarde sembra poter dormire sonni tranquilli, a due settimane dalla sua entrata in carica al vertice Bce, al posto di Mario Draghi. È lei, in realtà, la destinataria effettiva delle critiche crescenti al nuovo quantitative easing imposto da Draghi al passo d’addio. Anche l’ex direttore generale del Fmi è una donna francese voluta da Macron.
Goulard godeva invece di sponsor di lunga data in Italia. Era stata infatti consigliere politico di Romano Prodi durante la sua presidenza a Bruxelles ed era poi entrata nella cerchia di Mario Monti, frequente ospite in Bocconi come alle adunate settembrine di Cernobbio. Non ha stupito nessuno che uno dei più importanti “comizi” finali della tecnocrate francese lanciata verso la Ue sia stato ospitato da Prodi e Monti nella retorica cornice di Ventotene. Il ceffone dell’Europa del ventunesimo secolo a quella del ventesimo non risparmia né il più convinto teorizzatore del “governo Orsola” (in concreto il Conte-2) – né il primo premier-commissario del decennio più famigerato dell’Italia nell’Europa fondata a Roma sessantadue anni fa.