Il Parlamento europeo ha votato il mese scorso a favore di Ursula von der Leyen, confermandola per altri cinque anni alla guida della Commissione europea. L’aspettativa è quella di una sostanziale continuità con gli anni precedenti, nonostante le ultime elezioni abbiano comportato un ridimensionamento di socialisti, liberali e verdi, a vantaggio di rappresentanze politiche di diversa matrice culturale. La candidata Presidente ha condiviso un documento sul proprio indirizzo politico per il quinquennio 2024-2029, in cui risuonano molte parole chiave e concetti in continuità con i cinque anni appena trascorsi.



Di particolare interesse appare soffermarsi su quanto spazio sia stato dedicato in tale documento programmatico alla famiglia e, dunque, alla necessità di invertire la tendenza demografica, il che fa subito balzare all’evidenza come tale dimensione antropologica appaia ancora molto emarginata.

La “famiglia”, infatti, viene menzionata appena tre volte e sempre senza mai operare un focus sulla stessa, quanto meno come indispensabile volano per una ricrescita della natalità.



La prima volta, per quanto riguarda la proposta dell’unione nei mercati dei capitali, cosicché la famiglia viene percepita come uno strumento per investire e mantenere nell’Ue i risparmi europei. La seconda, per quanto riguarda la carenza di alloggi per famiglie e giovani, proponendo l’assegnazione della competenza alla casa a un Commissario. Infine, si considera la famiglia a proposito delle imprese agricole a conduzione familiare.

L’attenzione solo marginale alla famiglia trova probabilmente la propria spiegazione, come si accennava, nella francamente pallida, pallidissima luce accesa sul problema demografico. Il documento programmatico illumina piuttosto altri profili di ritenuta emergenza, quale la crisi climatica. Si tratta di un grave errore di prospettiva da parte della governance europea, che – come ha denunciato il Ministro italiano Giorgetti al Festival dell'”umano tutto intero” del network “sui tetti” il 19 giugno scorso – sembra tacitamente nascondere a se stessa che la crisi demografica sta per minare definitivamente la stessa tenuta economico-sociale, nonché l’impianto istituzionale dell’Europa sin dai prossimi decenni.



Un piccolo spiraglio di consolazione potrebbe derivare se fosse vero che la “famiglia” non viene direttamente trattata, in quanto non è una precipua competenza europea. Ma perché, allora, molto più spazio e molta più specificità vengono, invece, dedicati ai temi dell’uguaglianza delle persone Lgbt? Al punto che la Presidente chiederà al prossimo Commissario con delega all’uguaglianza di presentare una strategia aggiornata in materia, partendo da quella adottata nel quinquennio trascorso, senza mai ammettere come tale prospettiva significhi assumere una specifica concezione ideologica iperindividualista e ipersoggettivista dell’uomo e della realtà.

Una tanto evidente diversità di passo, fa allora emergere il duplice errore in cui può incorrere la neonata maggioranza europea.

Per un primo verso, cioè, si deve diventare consapevoli che le linee programmatiche proposte tradiscono una chiara scelta di campo antropologica, che presuppone un disfavore verso una concezione dell’umano come relazione, benché proprio tale riferimento assiologico sia al cuore stesso dell’identità europea per come si è manifestata nella storia.

Un secondo errore, di ordine strategico, sta nel fatto che tale specifico condizionamento culturale impedisce al Governo dell’Europa di vedere la priorità-delle-priorità ovvero la necessità di invertire la tendenza demografica. Si tratta di una prospettiva dalla quale dipende – come si diceva – la sopravvivenza stessa della società europea, e che imporrebbe di assumere politiche radicali per la natalità e il sostegno alla maternità/genitorialità, che invece difettano. E la prima delle decisioni in tal senso dovrebbe essere quella di considerare la spesa per incoraggiare e supportare le nascite come il primo e più essenziale investimento, così da non applicare a esso vincoli che rischiano di peggiorare una situazione già socialmente drammatica.

Le formazioni sociali e culturali che hanno a cuore il futuro del nostro continente non potranno, perciò, che chiedere a tutti i decisori di correggere drasticamente e con la massima urgenza l’errata strada intrapresa dal nuovo Governo dell’Europa.

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