La designazione finale di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della commissione Ue ha maturato più di una novità importante. Nei commenti è risultato inevitabilmente enfatizzato il contesto ampio della battaglia politica fra Governi e macro-partiti Ue: certamente in una cornice eccezionale come quella data dalla crisi geopolitica e dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Si è trattato peraltro di un passaggio atteso e auspicato da tempo.
Lo start della Commissione von der Leyen-2 ha visto affermarsi con maggior visibilità il gioco democratico all’interno del Parlamento Ue e nei suoi rapporti con l’Esecutivo di Bruxelles. È stato così possibile uno strappo genuinamente politico, forse il primo nella storia delle istituzioni Ue, dopo i Trattati di Maastricht: la fuoriuscita dei Verdi dalla coalizione di maggioranza a Strasburgo, quella che aveva sostenuto “Ursula-1”. Una soluzione di continuità non solo di perimetro aritmetico. È parsa segnalare concretamente la sterzata attesa nell’azione dell’Esecutivo Ue sul terreno cruciale della transizione eco-energetica. Il Next Generation Eu è stato intessuto per un decennio (anche dopo la pandemia) di ambientalismo ideologico e digitalizzazione “green”. Era affidato al socialista olandese Frans Timmermans; un euro-sauro che ancora un anno fa era primo vicepresidente di “Ursula-1”, prima di venire travolto nel voto politico nazionale dalla destra di Geert Wilders. La politica energetica è ora – assieme a quella della difesa – la priorità d’agenda di von der Leyen-2: ma con strategie che si annunciano nettamente diverse dalle precedenti.
Fra Strasburgo e Bruxelles i popolari (il partito di cui von der Leyen è stata “candidato di punta”, vincente al voto di giugno), i socialdemocratici (il partito del Cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz) e i liberali (che hanno nel Presidente francese Emmanuel Macron il loro leader, benché “azzoppato” in patria) rimangono intanto il baricentro pesante della colazione. Ma i Verdi – nettamente battuti all’ultimo euro-voto – vengono sostituiti dai “conservatori e riformisti” di Ecr: per ora in posizione di appoggio esterno. L’ingresso nella squadra ristretta di “Ursula-2” di Fitto, commissario designato dal Governo italiano di destra-centro, misura in modo evidente un cambiamento dinamico, autenticamente politico, nella governance Ue. Ecr – di cui oggi Fdi è perno e Giorgia Meloni la vera leader europea – è fra l’altro un euro-soggetto fondato dai tory britannici (di un Paese che ha rotto drammaticamente con l’Ue nel 2016, ma ora sta tentando un riavvicinamento). Ed è una forza da sempre sintonica con i repubblicani Usa.
L’ascesa di Fitto, dal canto suo, può essere opportunamente inquadrata anche in termini storici: traguardandola nella sequenza di commissari italiani a Bruxelles nell’Europa ridisegnata nel 1992.
La prima infornata effettiva fu decisa dal Governo Berlusconi-1 (a sua volta il primo della Seconda Repubblica in Italia). Furono indicati Mario Monti – tecnico centrista – con un portafoglio di peso come il Mercato interno; ed Emma Bonino alla Tutela dei consumatori (l’esponente radicale, in Europa nelle file liberali, era stata eletta alla Camera nelle liste di centrodestra del neonato Polo delle Libertà). Lombardo Monti, piemontese Bonino (lei pure laureata all’università Bocconi, dove l’economista era presidente), che fu in seguito ministro degli Esteri nel governo “dem” di Enrico Letta. Numero uno a Bruxelles era il popolare lussemburghese Jacques Santer, sostenuto dalla classica maggioranza tripartita Ppe-Pse-liberali, allora larghissima.
Nel 1999, il Governo D’Alema (sinistra-centro) appoggiò la candidatura a presidente della Commissione di Romano Prodi, Premier italiano nei tre anni precedenti. Prodi (che in Europa ha sempre fatto riferimento ai socialdemocratici) venne sostenuto dalla consueta maggioranza “europeista”. E mentre Carlo Azeglio Ciampi – padre nobile dell’euro – veniva eletto a Roma presidente della Repubblica, all’Italia venne riconosciuta anche la promozione di Monti (tecnico ereditato da un governo di centrodestra) all’Antitrust: il più importante portafoglio a Bruxelles. Prodi e Monti: ancora due europei dell’Italia settentrionale.
Nel 2004, il Berlusconi-2 indicò il ministro Rocco Buttiglione, leader dell’Udc agganciata in Europa al Ppe. A Bruxelles avrebbe dovuto essere il commissario a Giustizia, libertà e sicurezza nella commissione guidata dall’ex Premier socialdemocratico portoghese José Manuel Barroso. Buttiglione, di origini pugliesi, non riuscì però a essere il primo a raggiungere Bruxelles dall’Italia del Sud. Le posizioni dell’intellettuale cattolico – in particolare sul diritto d’aborto – vennero bocciate al vaglio di un euro-parlamento in cui il laicismo era un mantra. Gli subentrò Franco Frattini, sorta di “tecnico di centrodestra”, fino ad allora ministro degli Esteri. Una figura classica di alto burocrate romano per nascita e cursus. È scomparso nel 2022, quando era presidente in carica del Consiglio di Stato, alta magistratura amministrativa
Sempre da Roma partì nel 2009 Antonio Tajani: inviato a Bruxelles dall’ultimo Governo Berlusconi. Tajani (Fi-Ppe) era il ministro degli Esteri e a Bruxelles ottenne un portafoglio di peso medio-alto come i Trasporti. Fu uno dei cinque vicepresidenti (tutti “non esecutivi”) di Jean Claude Juncker, popolare lussemburghese. Dal 2011 al 2014 il ruolo del commissario italiano in Europa fu però nettamente limitato dall’avvento a palazzo Chigi di Monti come Premier tecnico (cui subentrò il centrosinistra di Letta) e di Mario Draghi alla Bce. Tajani peraltro diventò, dopo l’euro-voto 2014, presidente (Ppe) dell’Europarlamento, prima di approdare nel 2022 nel Governo Meloni come vicepremier e ministro degli Esteri.
Dopo le elezioni europee del 2014 – con l’exploit del Pd del neo-premier Matteo Renzi – fu rapidamente dirottata in Europa la ministra degli Esteri Federica Mogherini, “dem” romana, prodotto del vivaio ex Pci/Pds/Ds. A Bruxelles ebbe un incarico di grande prestigio – Alto Commissario per le Relazioni estere e la sicurezza – ma di peso reale scarso. È stata vicepresidente (nominale) del confermato Juncker. Dopo l’esperienza in Ue, Mogherini non si è spinta nella diplomazia internazionale, né è rientrata nella politica italiana. Oggi è rettore del College d’Europe, alta scuola della Commissione.
Nell’estate del 2019, l’esito del voto europeo e il riassetto degli organigrammi produsse direttamente il “ribaltone” di Governo in Italia. Fu così che un incarico orientativamente destinato dal Conte-1 al ministro leghista dell’Agricoltura, il lombardo Gianmarco Centinaio, finì assegnato dal Conte-2 all’ex premier Paolo Gentiloni, altro classico dem romano. Che nominalmente si ritrovò un portafoglio di primo livello (gli Affari economici), ma venne subordinato al lettone Valdis Dombrovskis: uno dei tre “vicepresidenti esecutivi” istituiti per la prima volta dalla Commissione Von der Leyen-1.
Ora a Bruxelles tocca al pugliese Fitto. Il primo italiano del Sud per nascita e formazione politica: è stato fra l’altro Governatore della sua Regione. Sarà anche il primo vicepresidente (esecutivo) della Ue esponente di una forza politica finora fuori dal perimetro della maggioranza del legittimismo europeo.
Qualcuno sostiene che Fitto è per alcuni versi l’epigono di una tradizione politica che nell’Italia democratica ha avuto il suo indiscusso “cavallo di razza” in Aldo Moro: un democristiano degasperiano che “dal centro guardava a sinistra”. Comunque un leader che con il varo del primo “centrosinistra organico” ruppe gli schemi in Italia (nell’orizzonte dell’Europa appena nata a Roma). Non è detto che le sue proverbiali “convergenze parallele” non stiano ritrovando momento in Fitto, fra “Ursula” e “Giorgia”.
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