Negando a Kamala Harris la Casa Bianca, gli elettori della più grande e longeva democrazia del pianeta hanno detto ancora no a una donna presidente: era già accaduto nel 2016, sempre con una candidata democratica. Ma hanno respinto anche la prospettiva che alla presidenza approdasse una figura politica che si era fatta le ossa come magistrato, ancorché elettivo nella tradizione americana: come attorney general (procuratore generale) dello Stato della California.
Sarebbe stata una prima volta in tempi recenti. Bisogna risalire ad Harry Truman, successore (un po’ per caso) di Franklin Delano Roosevelt a fine anni 40, per trovare un presidente con un passato di giudice, in una piccola contea del Missouri. Robert Kennedy fu attorney del Massachusetts e poi attorney general federale (ministro della Giustizia, con il fratello JFK alla Casa Bianca) ma fu poi assassinato nel corso di una campagna presidenziale che stava vincendo.
Harris e la sua campagna hanno tenuto abbastanza nell’ombra i suoi quasi trent’anni da magistrato inquirente: dal primo incarico in un’oscura procura della Grande San Francisco, fino al maggior incarico giudiziario della California. Il trampolino per il seggio senatoriale nel 2017 e da lì – subito nel 2020 – per la vicepresidenza.
Non era facile neppure per la candidata a sorpresa alla Casa Bianca dare senso unitario, politicamente vendibile nelle presidenziali 2024, a un impegno che ha risentito di tutte le sfide e le contraddizioni di quello che – con la East Coast di New York e Washington e il Midwest di Chicago – è il cuore pulsante degli States. Da un lato l’impegno istituzionale a far rispettare la legge – ma anche a tutelare tutti i diritti, vecchi e nuovi – in un ambiente socioculturale tradizionalmente libertario; dall’altro la pressione di un ambiente economico-finanziario unico ed estremo anche per il capitalismo a stelle e strisce, fonte strutturale di diseguaglianze e spesso anche di arbìtri.
Harris si è sempre destreggiata con abilità fra minoranze assortite e miliardari di Hollywood e della Silicon Valley. Ma lei stessa alla fine ha scelto di non usare come arma politica un curriculum alla fine insidioso, soprattutto contro un avversario repubblicano che – ancora in maggio – era sotto processo a New York. Ma è proprio in quella svolta – assieme al tentativo di omicidio di luglio – che The Donald ha trasformato un rischio in un’opportunità. Alvin Bragg, il district attorney di Manhattan che ha sostenuto la pubblica accusa nel caso Stormy Daniels, è infatti l’archetipo della “toga rossa” d’Oltre Oceano: ideologo e prim’attore di una giustizia che programmaticamente si rifiuta di agire contro l’esponente di ogni “minoranza” – vera o narrata come tale – e attacca invece le figure come Trump in quanto leader simbolico di ogni supposto potere oppressivo.
C’è però parecchio altro nel tramonto dei sogni – finali e globali – di “repubblica giudiziaria”, con ogni probabilità decretato dalla sconfitta di Harris. C’è il progetto di riforma della Corte Suprema apertamente ventilato da Joe Biden come presidente inizialmente ricandidato. Si è trattato – come molto nelle politiche recenti dei dem americani – di un tentativo ispirato da stretti interessi partisan spacciati per “difesa della civiltà democratica”.
La Corte Suprema ha visto effettivamente spostarsi i suoi equilibri interni verso lo schieramento conservatore: ma questo perché nel suo primo quadriennio Trump si è ritrovato a dover designare tre “justice” su nove, ma senza discostarsi di un millimetro dal quadro di circostanze e procedure previste dalla dalla legge. E non è certo per sua scelta arbitraria che Ruth Bader Ginsburg, giurista iper-liberal ma sorda a ogni invito di Barack Obama di ritirarsi per evidenti ragioni di salute, ha impedito in precedenza un ricambio pilotato dalla Casa Bianca “dem”. E non è colpa della Corte Suprema se fin dal primo giorno dopo la “riconquista” della Casa Bianca, i dem hanno impostato una lunghissima campagna elettorale anti-Trump principalmente sul terreno giudiziario: all’insegna di inchieste pubbliche o private sul presunto “felon”. Alla fine non ha funzionato: esattamente come in Italia Silvio Berlusconi è stato per un periodo ineleggibile, ma è morto da senatore eletto quasi trent’anni dopo aver vinto la prima di tre elezioni come candidato premier.
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