La Fiera del Vinitaly ancora in  lockdown; per ora “sine die”.  L’Arena che ha già annunciato Riccardo Muti come direttore d’eccezione alla prima della stagione 2021: ma che ancora lotta con i Dpcm per poter tenere un mini-festival lirico alla fine dell’estate 2020.  L’aeroporto di Villafranca escluso dai 23 scali italiani riaperti. Verona era già uscita acciaccata dalla pandemia: forse l’unica provincia-capoluogo del Veneto rimasta fuori dal cono di luce mediatica riverberato dal governatore Luca Zaia. Un focolaio – quello scaligero, peraltro confinante con la Lombardia di Brescia e Bergamo – scappato di mano perfino al mito della “gestione Crisanti”: scientificamente radicata a Padova, politicamente fra Treviso e Venezia; in quel Veneto orientale storicamente dominante sulla Serenissima “di terra”.



È comunque su una Verona già abbondantemente bagnata che la cronaca degli ultimi giorni è caduta con la forza di un nubifragio. Prima il diktat di Bankitalia-Ivass su Cattolica, storica compagnia d’assicurazione cooperativa, chiamata a reintegrare in fretta il suo bilancio con un maxi-aumento di capitale. Poi il colpo vibrato dall’Antimafia contro una vasta infiltrazione della ‘ndrangheta, che ha toccato l’Amia, municipalizzata della gestione ambientale. Coinvolti nell’operazione della Dda l’ex presidente Amia e soprattutto l’ex Sindaco Flavio Tosi (per un’ipotesi di concorso in peculato per la quale Tosi si dichiara estraneo). 



Non sorprende che scosse telluriche di questa intensità abbiano colpito anzitutto l’amministrazione comunale: oggi capeggiata da un sindaco – Federico Sboarina – uscito vincitore tre anni contro ogni pronostico. L’eredità del doppio mandato di Tosi – leghista dissidente, poi approdato nelle fila del Pd renziano, oggi in cerca d’autore – avrebbe dovuto essere al centro di una contesa fra una candidata del centrosinistra e la senatrice Tiziana Bisinella, compagna di Tosi e come lui fuoriuscita dalla Lega egemonizzata da Zaia a livello regionale e da Matteo Salvini a livello nazionale. A Sboarina – candidato del centrodestra con origini in Alleanza nazionale – venivano date “chance” limitate anche solo per il ballottaggio. Invece vinse nettamente sia il primo che il secondo turno, a capo di una frastagliata “coalizione civica”. 



Quella coalizione era però già entrata  in sofferenza ben prima dell’uragano-virus. Troppo forte la pressione crescente della Lega ai voti 2018 e 2019 in una città-crocevia del Lombardo-Veneto. Troppo eccentrica, in un grande metropoli industriale del Nord, la forza relativa di Fratelli d’Italia come “junior partner” della maggioranza. Troppo isolato, alla fine, un sindaco di fatto “indipendente” in un centrodestra sempre più polarizzato. 

Nel crescente “spaesamento” di Verona, Sboarina non sembra peraltro solo. La stessa Confindustria scaligera – una delle più importanti del Paese – si è ritrovata all’opposizione del neo-presidente Carlo Bonomi. Gli industriali veronesi – storicamente freddi verso Assolombarda e convinti sostenitori di Vincenzo Boccia nel’ultimo quadriennio – si sono espressi a favore della torinese Licia Mattioli: nettamente battuta a metà aprile da Bonomi. Nella cui squadra sono ora entrate due industriali venete: la trevigiana Maria Cristina Piovesana e la vicentina Barbara Beltrame.

Lo stesso caso Cattolica nasce prima che l’effetto-epidemia colpisse i conti di una delle più importanti assicurazioni italiane: quotata in Borsa e partecipata da Warren Buffett; ma rimasta aggrappata allo statuto cooperativo delle origini, ancora nel secolo diciannovesimo. Una società “veronesissima”, in cui alla fine non ha retto l’ultimo tentativo di coesistenza fra un top manager di caratura internazionale come Alberto Minali (ex Dg della Generali) e un presidente come Paolo Bedoni, ex leader nazionale della Coldiretti, nel board Cattolica da più di un ventennio. 

Il “crash” finale, lo scorso ottobre, è maturato sulle strategie di Minali che ricomprendevano anche la trasformazione in Spa della compagnia e rafforzamenti patrimoniali in vista di nuove alleanze. Uno scenario inaccettabile per Bedoni, la cui leadership su Cattolica è stata finora imperniata sul controllo attraverso il meccanismo “una testa e un voto”: in base al quale Buffett (primo azionista con il 10%, entrato nel capitale con  Minali) conta tuttora come il possessore di poche centinaia di azioni. 

Sei mesi dopo la cacciata di Minali e dopo che già a Verona alcune associazioni di piccoli soci avevano duramente contestato la governance di Bedoni, è giunto il “redde rationem” in Borsa (dove il titolo ha perduto quasi metà del suo valore pre-virus, “era Minali”) e da parte dell’autorità di Vigilanza, che ha ordinato un’immediata ricapitalizzazione. Un’operazione che salvo colpi di scena, imporrà la trasformazione in Spa e condurrà a un ricambio di tutti gli assetti in Cattolica. E sarà interessante osservare anche su questo fronte la capacità di risposta di un sistema-città tuttora dotato di fondamentali economici solidissimi a livello nazionale.