Delle 26 pagine di Considerazioni finali – sui massimi per estensione – lette ieri dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, colpisce il tono di distacco rispetto alle politiche di contrasto all’emergenza economica post-pandemia abbozzate dal Governo Conte. Un atteggiamento in parte dovuto per un banchiere centrale (oggi sempre più consigliere Bce che numero uno a Roma) e consolidato nella tradizione di autonomia di via Nazionale: che secondo Guido Carli doveva funzionare da “pilota automatico” dell’Azienda-Paese.



Le Considerazioni 2019 hanno certamente scontato la preoccupazione di una fase di eccezionale criticità ed evitato asperità polemiche. Ma nel disegnare scenari e raccomandazioni Visco non ha abbuonato nulla al Premier e al titolare del Mef, Roberto Gualtieri. I decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio sono nettamente in secondo piano: nella visione del Governatore – che si è limitato a elencarli con tono di presa d’atto – non hanno per nulla il peso del bazooka deciso dalla Bce a sostegno dei Btp o dalle misure di recovery ormai delineate in sede Ue a favore dell’Italia. Non è mancato neppure qualche accenno critico ai provvedimenti: ad esempio, una possibile spinta eccessiva e indesiderata all’indebitamento delle imprese attraverso il macchinoso sistema delle garanzie pubbliche. 



Per Palazzo Koch, in ogni caso, l’esecutivo italiano è ai blocchi di partenza; non ha ancora affrontato e tanto meno superato alcun esame;  ha solo “compiti a casa” da svolgere, di estremo impegno e nel futuro immediato: quasi nell’arco della sessione di riparazione a settembre. È evidente – da parte di Visco – la preoccupazione che l’emergenza coronavirus non sia una molla per riattivare una spirale di crescita paralizzata e ingarbugliata da oltre un decennio, quanto un pretesto per ignorare e rinviare ancora i nodi strutturali dell’economia italiana: la drammatica caduta del Pil attesa nel paese – fino al 13% nel 2020 – non può essere affrontata con ottica puramente congiunturale, trascurando le ragioni della lunga stagnazione precedente.



L’Italia è in trincea da troppo tempo per “ritrovare la via dello sviluppo” e il problema non è stato – alla fine – l’assenza di risorse disponibili, quanto “lo iato con la capacità di utilizzarle”. E (facendo eco a Mario Draghi, seduto ieri in via Nazionale) una politica monetaria “straordinariamente accomodante” da parte della Bce non potrà mai sostituirsi a una politica finanziaria efficace. Il reperire le risorse (Visco non ha mancato di accennare anche al robustissimo monte-ricchezza finanziaria degli italiani, superiore agli 8mila miliardi) è una premessa necessaria, soprattutto con un debito pubblico ancora alto (ancorché non fuori controllo); ma una condizione non sufficiente e anzi potenzialmente pericolosa se i mezzi vengono allocati male.

Certamente per Visco è rischioso evitare ancora salti di qualità: anzitutto insistere nella spesa corrente per la Pa, con alte probabilità di improduttività. È invece indispensabile riorientare le “public policy” con decisione nella spesa per education e per la formazione del capitale umano: dove l’Italia è in ritardo crescente rispetto ai Paesi-competitor. È un punto di vista che si salda a una particolare declinazione della politica industriale e del lavoro: anche ieri Visco ha confermato di non voler affatto sposare il puro e semplice slogan politico “abbassare le tasse alle imprese”. È invece evidente – per via Nazionale – l’assillo crescente della crisi persistente della produttività del lavoro e della debolezza degli investimenti industriali in innovazione digitale. Qui c’è bisogno di stimolo ed è stato chiaro lo “stimolo” di Bankitalia al Governo a mettere il rilancio della manifattura fra le priorità del vero “Piano di Rilancio” del Paese.

Non si è sottratto – Visco – alla questione sociopolitica regina dell’attualità, non solo in Italia. “Le perdite delle famiglie a basso reddito pesano per il doppio” ha detto con gergo solo apparentemente da economista. Se ignorare l’emergenza – maturata peraltro lungo almeno due decenni su scala globale – non è più possibile e neppure lecito, sarebbe un errore anche imboccare scorciatoie demagogiche: “Occorre un nuovo contratto sociale”, ha affermato il Governatore: sicuramente non immemore di quanto Luigi Einaudi sosteneva e praticava al vertice di Bankitalia nell’immediato secondo dopoguerra.

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