Ursula Von der Leyen è la più imprevista delle chances di ripresa del movimento cosiddetto “sovranista” italo-europeo, morto in culla, di fatto. Cerco di spiegare perché.
1) La politica tedesca ha una spiccata consapevolezza della debolezza attuale dell’Europa, nella fattispecie della sua Germania. Calo delle esportazioni e fragilità politiche interne spingono le riflessioni della Von der Leyen nella direzione di un et-et dialogante che, in questo momento, può aiutare un Salvini boccheggiante. E ciò anche in presenza di un Movimento 5 Stelle, grande elettore del nuovo commissario, perché quel che accade in sede europea, una volta sanciti i nuovi rapporti di forza, favorisce sempre chi è ostile. È un’antica legge della politica, solo che, per conoscerla, bisognerebbe essere adùsi alla pratica della medesima, la politica intendo, più che delle piazze mediatiche. Il muro-contro-muro militarizzato, con questi chiari di luna in seno al Governo, rafforza i detrattori e i detentori del potere in Europa. Ciò che è reale è razionale, piaccia o no, dopo Hegel, ha fatto scuola anche in politica. Altra citazione, e con questa coppia di fondamentali, si può mettere in piedi tutto quello che si vuole: “Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica” (Joseph Ratzinger).
2) L’Italia non cresce e la Germania non sfonda, per così dire: quasi palla al centro. Il Mediterraneo è diventato l’asse della mediazione, con la pistola fumante sul tavolo dedicato al debito italiano: imparare, allora, dal presidente Mao. “C’è molta confusione sotto il cielo, è un buon tempo per la rivoluzione”. I cosiddetti “sovranisti”, cessando di perdersi nei meandri di un narcisismo para-adolescenziale impolitico, possono riuscire a cavalcare la tigre, passando più ore ai tavoli europei e interrogandosi anche sulle ragioni dei voti dei colleghi populisti per la von der Leyen. Dublino può attendere, ma, una volta arrivato il tavolo della riforma, qualche cosa di buono si può ancora ricavare. Mediazione, negoziazione e pazienza tattica, in vista di un orientamento strategico più definito: missione non impossibile.
3) La Russia e le sanzioni: magnifica opportunità per cavare le castagne dal fuoco della Lega. Il commissario ha bisogno di dialogare con l’unico leader decente rimasto sulla scena mondiale e Salvini ha bisogno di uscir fuori dall’angolo nel quale è stato cacciato, grazie ai suoi molteplici e reiterati errori politici e strategici di partenza, primo fra i quali aver abbandonato il centrodestra. Tra parentesi: i finanziamenti della Russia al Carroccio sono materia da circo mediatico-giudiziario, naturalmente; impugnata, poi, dai nipotini di chi prendeva dollari in cash dall’Unione Sovietica, è questione che rappresenta il ritorno del varietà dell’ipocrisia. Parlare russo alla Camera potrebbe anche avere a che fare, in questo caso, con un lapsus freudiano di ritorno. Ciò detto, chi pensa ancora, nel 2019, di poter governare con un “contratto”, anziché con una coalizione di pari e diversi, deve tornare indietro col nastro, rivedere l’incubo post-2010, e poi, assistito dagli dèi della politica, ritornare sui suoi passi. Se non lo fa, è destinato, qualunque sia il responso delle urne, a chiudere, in tempi brevi, la sua stagione politica. Renzi docet. Ma i precedenti, anche nel centrodestra, si sprecano. La memoria dovrebbe aiutare, soprattutto chi fa della memoria nazionale il perno della sua immagine politica. Ripeto: dovrebbe.
4) Avere “più Europa”, al di là dell’inconsistenza culturale e politica dello slogan, non è un male per chi si oppone a questa Europa. Perché, in politica, chi ha in mano le carte, deve prima o poi tirarle fuori, e questa avvantaggia chi si oppone, a patto di avere qualcosa da dire e magari qualche strategia decente tra le mani. Insomma, la stagione degli euroscettici un tanto al chilo è finita. Ora si deve riaprire la stagione della politica. Puoi essere euroscettico quando hai Berlusconi, Tremonti e un assetto politico, a negoziare e lavorare sul campo (l’esito felice è stato Draghi alla Bce), altrimenti devi imparare a fare politica, con umiltà, imparando i fondamentali: quando sei incudine, devi cercare di non far battere troppo il martello o, almeno, incassa, finché il martello non si è sbriciolato. Come diceva Pietro Nenni, mentore dell’ultimo grande politico del dopoguerra, Bettino Craxi: “La politica non si fa né con i sentimenti, né con i risentimenti”. Ho sempre nutrito qualche dubbio sulla prima parte, decisamente nessuno sulla seconda.
P.S.: Chi pensa di fare buona politica stigmatizzando Berlusconi, elettore della von der Leyden, forse non ha scandagliato a fondo i risultati dell’elezione. Larga parte dell’ala cosiddetta “sovranista” ha votato la politica tedesca. Per fare il salto di qualità, cfr. la citazione di cui sopra, soprattutto alla voce “risentimenti”. A seguire, una sbirciata ai dati economici ufficiali – fonte: Istat – non guasterebbe.