Caro direttore,
qualche annotazione in margine al “caso Zaki”. Esito nel proportene una, perché nell’andare oltre il sollievo umano (assoluto) per lo studente egiziano, il rischio è inesorabilmente duplice: scivolare nel politicamente corretto o nel suo opposto. Significa accettare tutte le insidie della strumentalità, inversamente proporzionale al grado di conoscenza reale di tutti gli elementi. Perché – come si lesse nell’incipit di un famoso reportage sulla morte del bandito Giuliano – “di sicuro si sa solo che è morto”.
Per fortuna di Patrick Zaki, di sicuro si sa che è vivo (ha resistito a una lunga detenzione in Egitto), che è stato graziato dal presidente Al-Sisi e che sarà accolto in Italia dal Premier Giorgia Meloni. Cosa che ha già fatto storcere parecchie bocche (le stesse che bofonchiarono quando “le due Simone” oppure la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena furono liberate dopo essere state rapite in Iraq, mentre Premier era Silvio Berlusconi). E questo è certamente un primo spunto di riflessione: quando un cittadino italiano (anche d’adozione) si ritrova in una situazione difficile in un Paese estero difficile, per trarlo d’impaccio contano solo le carte di cui un intero Sistema-Paese può disporre in un certo momento su un certo tavolo, contano le sue capacità di giocarle.
Conta il Premier, la maggioranza e la compagine di governo; ma spesso anche l’opposizione. Contano le relazioni personali, politiche, economiche, culturali. Conta molto il cosiddetto “deep State”: l’intelligence, la diplomazia, le forze armate. Contano anche le imprese: soprattutto le grandi multinazionali che si muovono sul globo come Stati sovrani. Conta lo spessore delle “colonie” , degli scambi commerciali e d’investimento. Contano tutti gli italiani (e non italiani) che – è stato certamente così anche nel caso Zaki – possono lavorare e lavorano alla soluzione di un caso complicato, attorno alle vite delle persone.
Per questo Meloni avrà tutto il diritto-dovere di ricevere lo studente non solo perché l’attivismo geopolitico nelle ultime settimane in Nord Africa assieme all’Ue ha certamente facilitato l’esito positivo del caso Zaki. Ma perché è sempre lo Stato – sempre uno – a rispondere sia dei finali lieti che di quelli tragici (come quando da Nassirya tornarono le bare di 17 militari italiani). Chi lo nega perpetra la narrazione profondamente divisiva – e antidemocratica – secondo cui una parte del Paese può sempre accreditare una propria superiorità morale verso un’altra metà invece indegna per definizione: anche quando Zaki si salva a differenza di Giulio Regeni. La cui fine terribile e assurda cadde nel terzo anno del Governo Renzi; e per il quale la ricerca – finora vana – della “verità” si è protratta per i Governi Gentiloni, Conte Uno e Due e Draghi.
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