Del caso “Walter Biot”, la presunta spia italiana arrestata mentre scambiava documenti riservati con un funzionario dell’ambasciata russa, colpiscono due fatti. Il primo, da anni l’ufficiale di marina prestava servizio agli alti livelli dello Stato maggiore della Difesa, in uffici importanti per relazioni e gestione di documenti, compreso l’ultimo incarico presso l’Ufficio di politica militare, struttura che risponde direttamente al ministro della Difesa, e quindi – si presume – a conoscenza delle informazioni più delicate e riservate. Ma i soldi di Giuda, quei maledetti trenta denari, in questo caso sono 5mila euro. E che segreti si vendono per 5mila euro? Sembra che i file riguardassero i sistemi di telecomunicazione militare e tra questi ci sarebbero anche informazioni secretate della Nato. Certo l’operazione sicuramente è stata preceduta da altre ed altre sarebbero avvenute. Ma insomma, sempre di poche migliaia di euro si tratta e di conseguenza si presume per “comprare” del materiale non importantissimo. E quindi complimenti ai nostri servizi, che hanno bloccato una collaborazione che ben più gravi danni avrebbe arrecato se fosse proseguita.
Il secondo fatto ben più rilevante è la ricorrente azione dei servizi russi sul territorio italiano. Non è infatti la prima volta che presunti funzionari russi sono stati beccati con le mani nel sacco per fatti riguardanti l’Italia.
Alla fine della Guerra fredda, nel 1989 vi fu un tentativo da parte del Kgb e dei servizi di intelligence bulgari di trafugare documenti riservati riguardanti un progetto per un sistema di comunicazioni della Nato di due aziende italiane che collaboravano con la Oto Melara di La Spezia.
Nel maggio del 2016 un dipendente russo dell’ambasciata si incontrò a Roma in Trastevere per scambiare con una “barba finta” portoghese soldi in cambio di documenti Nato. Fatto che non avvenne a causa dell’arresto da parte della Digos.
Nel 2019 è stato il turno di un funzionario francese, assegnato alla base Nato di Napoli, un colonnello cinquantenne che ha intrattenuto rapporti con un membro dell’intelligence russa.
È ancora Napoli la sede del fattaccio più sconcertante, non tanto per il contenuto – soliti fatti di spie che avvengono anche nelle migliori famiglie – ma per il comportamento nostro, del governo italiano. Nella città partenopea infatti nel luglio del 2019 è stato arrestato, su mandato internazionale statunitense, un cittadino russo accusato di spionaggio industriale ai danni della Ge Aviation che controlla l’ italiana Avio Aero, 4mila addetti tra Rivalta di Torino, Brindisi e Pomigliano d’Arco. Il ministro Bonafede però fa un piacere a Putin e uno sgarro agli americani, perché consegna la spia, agente dei servizi segreti nonché decorata per meriti alla patria, ai russi e non a Washington che ne richiedeva a ragione l’estradizione. Infatti i reati di spionaggio industriale erano stati commessi negli Usa e il mandato di arresto era internazionale e il russo era stato fermato appena arrivato all’aeroporto di Napoli. La magistratura italiana non si oppone all’estradizione e rimanda al ministero della Giustizia la decisione che in accordo con Conte rilascia il russo. Decisione a dir poco sconcertante che fa infuriare, a ragione, gli alleati americani, tenuta in nome della scoperta simpatia per Mosca dei governi Conte, uno e due.
Anche adesso, nel nuovo caso che coinvolge il capitano di fregata e la spia russa con passaporto diplomatico, la Russia ha minacciato sfracelli, ma siamo sicuri che il comportamento del governo Draghi sarà diverso.
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