“Il canto di Natale”, romanzo breve scritto da Charles Dickens nel 1843, è uno dei testi più adattati dal cinema, perfetto per infinite variazioni, rivisitazioni e parodie. Quello che nessuno ha mai fatto, almeno a memoria di chi scrive, è raccontare il dietro le quinte del mondo che il romanzo crea, quello degli spiriti dei Natali presenti, passati e futuri che tormentano un “cattivo” per provare a redimerlo. Lo fa Spirited – Magia di Natale, forse il miglior film natalizio dell’anno, disponibile su Apple TV +.
Diretto da Sean Anders, il film ha come centro lo Spirito del Natale Presente (Will Ferrell, che interpreta una sorta di evoluzione del suo personaggio cult in Elf) che lavora in un grande struttura aziendale nella quale ogni anno cercano di cambiare il cuore di una persona particolarmente sgradevole la notte di Natale. Quest’anno però la scelta è caduta su Clint (Ryan Reynolds), odiosissimo responsabile delle comunicazioni che usa la rabbia delle persone per costruire un impero mediatico: una persona talmente “irredimibile” da costringere lo stesso Spirito a fare i conti con sé stesso e il proprio passato.
Anders scrive assieme a John Morris un musical fiabesco con le canzoni di Pasek & Paul e le musiche di Dominic Lewis che rilegge il classico dickensiano ma soprattutto il film S. O. S. Fantasmi – espressamente citato nel film – per raccontare il cinismo dei nostri tempi, ma soprattutto per portare l’attenzione sugli spiriti, prima che sullo Scrooge di turno.
L’operazione è espressamente meta-linguistica visto che lo scrittore inglese e la sua creazione sono date come punto di partenza e perno su cui Spirited ruota, raccontando il backstage di quell’immaginario (ed è una scelta molto coerente con la tradizione del musical), ma al tempo stesso non è mai pedantemente teorica, piuttosto è un’ulteriore chiave di modernizzazione, assieme al tema della rabbia popolare sfruttata per indirizzare acquisti e scelte politiche, e uno dei più originali modi per portare un racconto così intriso di sentimentalismo a un pubblico che parrebbe essere più cinico.
E quindi Anders e soci fanno cozzare felicemente l’irrefrenabile contemporaneità dei dialoghi e della messa in discussione umoristica di ogni cosa, come se il flusso narrativo si fermasse ogni scena per commentarla ironicamente, con la classicità (per qualcuno antichità) dell’apparato musical, che pure sfrutta lo stesso meccanismo, interrompendo la narrazione e inserendoci canzoni e danze. Da questo scontro Spirited esce vincitore grazie al perfetto funzionamento delle sue parti, partendo dall’intelligenza della scrittura e arrivando al ritmo invidiabile della regia, passando per l’affiatamento degli attori e le gustose invenzioni scenografiche e visive.
A farla da padroni, ovviamente, sono le canzoni e i balli messi in scena con la carica di Broadway (coreografie di Chloe Arnold) e lo spirito dei vecchi film MGM degli anni ’50, dove la fotografia di Kramer Morgenthau che sembra guardare al glorioso Technicolor, un’accoppiata spettacolare ben condotta che riesce a rendere più interessante del previsto un film in cui l’idea che l’aldilà sia il regno del musical è la spinta giusta per convincere gli spettatori della bellezza delle feste.
Poi c’è chi non ama i musical: ci dispiace per loro.
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