Padre e figlia: lo strappo, il dolore, la tenerezza. Sono gli elementi del nuovo spot di Esselunga. È l’occasione per ripensare a un rapporto che lega in maniera unica e irripetibile due componenti di una famiglia. Rapporto fatto di amore, timore, tremore, gioia, dolore, tenerezza infinita. Ma analizziamolo con tre esempi.
Il primo riguarda lo spot. Racconto brevemente la trama per chi non lo avesse visto. In una giornata piovosa, particolare interessante, la figlia comunica al padre la sua intenzione di andare a vivere da sola. Lo prende in contropiede. Lui ammicca, cerca di convincerla. Ma lei ha già deciso. Così in famiglia si apre il dibattito: la mamma sembra favorevole, il papà decisamente contrario. Vanno al supermercato e comprano una carota. Sarà il microfono con cui padre canta i suoi ricordi: quando le rimboccava le coperte prima di dormire, i giochi con la sabbia al mare, il karaoke. Con un finale: “Fai la tua vita, amore mio”. Una sorta di disperato quanto tenero abbraccio alla figlia che se ne va.
Il secondo esempio del rapporto fra padre e figlia è narrato in Pastorale americana. Il romanzo, scritto da Philip Roth, vinse il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1998. Racconta la storia dello Svedese. Capigliatura bionda, occhi azzurri, aspetto nordico: un figo come si direbbe oggi. Dopo gli studi si sposa con una bella donna, ex Miss New Jersey, e va a lavorare nella ditta del padre che produce guanti da donna. Nasce Merry, splendida bambina bionda. Una famiglia perfetta, all’apparenza. Che si scopre fragile quando Merry comincia a balbettare.
Inutili le visite presso i più illustri luminari dell’epoca: non si può fare nulla. La bambina cresce, diventa ribelle e si unisce all’organizzazione di estrema sinistra Weather Underground. La parabola discendente arriva al culmine quando Merry partecipa a un attentato dinamitardo contro un ufficio postale. Un uomo rimane ucciso. La ragazza entra in clandestinità. Per lo Svedese è un colpo al cuore: la sua vita “pastorale” viene distrutta.
Passano lunghi anni senza avere notizie della ragazza. La madre ha da tempo abbandonato ogni speranza. Si rifugia in una vita fatta di banalità. Lo Svedese no. Non ha perso la speranza. Così un giorno la ritrova. Dopo la clandestinità, con tre omicidi alle spalle, Merry ha cambiato vita. È entrata in una setta di animalisti estremi: non si lavano per non uccidere i microrganismi presenti nell’acqua, vivono con una fascia sulla bocca, sono vegani all’ennesima potenza. L’incontro è drammatico. Merry è l’ombra della bella ragazza di un tempo. Sporca, lacera, senza denti, vive in un tugurio buio e puzzolente. Allo Svedese gli si stringe il cuore. Vorrebbe portarla via, ma lei si nega. In una sorta di cupio dissolvi, la sua scelta è un modo per scontare i peccati e il male che ha commesso. Il padre la lascia. Ritorna, ma lei non c’è più. Così per tanti anni. Muore senza più vederla. Ma c’è una nota di speranza in questa vicenda drammatica: Merry compare al suo funerale, bella come prima.
Pastorale americana è dunque la storia del dramma di un padre che vede la figlia allontanarsi da lui. E non può fare nulla. Quel “Fai la tua vita, amore mio” è gravido di un dolore infinito.
Terzo esempio. Siamo ai giorni nostri, più o meno. La ragazza ha appena finito l’università. Ha tre possibilità: andare a lavorare con il padre, scartata subito; andare in Canada dove si prospetta un bel lavoro, anche no; andare in Africa con una Ong. Sceglie la terza e lo comunica ai genitori poco prima della partenza. Destinazione Kitgum, nell’Uganda del Nord. Scelta non facile e non priva di rischi. Stiamo parlando di un villaggio a pochi chilometri dal Sudan dove ci sono i guerriglieri, regna la malaria, l’Aids, i bambini vengono rapiti per farne dei soldati. Il padre è combattuto. Da una parte c’è l’orgoglio. Le amiche della figlia pensano solo a sposarsi, una famiglia, la carriera. Lei invece è coraggiosa, una grande. Ma corre verso l’ignoto. C’è la paura per ciò a cui andrà incontro.
I genitori l’accompagnano all’aeroporto per il lungo viaggio. Piangono tutti e tre. Anche qui, come nello spot, in quel “Fai la tua vita, amore mio” c’è tutta la tenerezza dell’amore paterno e materno, in questo caso. Con in più, l’affidamento a Dio perché la protegga. La ragazza starà tre anni in Uganda e mai dimenticherà quello che ha vissuto. Si chiama Valentina. È mia figlia.
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